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 Intervento fr. Salvado Allende alla G.L. di Colombia 28/8/71

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Danilo Di Mambro




Numero di messaggi : 14
Data d'iscrizione : 26.08.08

Intervento fr. Salvado Allende alla G.L. di Colombia 28/8/71 Empty
MessaggioTitolo: Intervento fr. Salvado Allende alla G.L. di Colombia 28/8/71   Intervento fr. Salvado Allende alla G.L. di Colombia 28/8/71 Icon_minitimeDom Nov 29 2009, 16:02

Serenissimo Gran Maestro della Gran Loggia di Colombia, cari Fratelli del Supremo Consiglio, alti dignitari dell’Ordine, cari Fratelli tutti: guardando indietro, all’inizio della mia vita, ricordo che non ottenni con facilità il diritto a essere membro della Gran Loggia del Cile, perché ero stato uno studente ribelle. E se insistetti nel bussare alle porte della Rispettabile Loggia Progreso Nº4 di Valparaiso, lo feci con profonda convinzione e possedendo i principi massonici inculcati nella nostra famiglia da mio padre, il caro Fratello Ramon Allende Padilla Huelvo, che fu Serenissimo Gran Maestro della Gran Loggia del Cile e fondatore della Loggia le cui porte si aprirono per me in Valparaiso, essendo la stessa la seconda Loggia nel Paese.
Avevo piena coscienza che l’Ordine non è né una setta, né un partito, e che sgrossando la pietra grezza ci si prepara per agire nel mondo profano. E che è obbligo dei massoni agire nel mondo profano sulla base dei principi permanenti della Massoneria. Per questo, e non per ringraziare (dato che credo che questo termine sia improprio tra fratelli) ma piuttosto per testimoniare sul contenuto generoso delle parole del Sovrano Gran Commendatore e del Serenissimo Gran Maestro, che vorrei ricordare la notte della mia Iniziazione, quando per la prima volta, ascoltando il Rituale, udii che «gli uomini senza principi e senza idee ferme, sono come le imbarcazioni che, una volta rotto il timone, si sfasciano contro gli scogli».
Appresi anche che nel nostro Ordine non ci sono gerarchie di natura sociale né economica. Fin dal primo momento divenne dunque più forte in me la convinzione che i principi dell’Ordine, proiettati nel mondo profano, potevano e dovevano essere un contributo al gran processo rinnovatore che tutti i popoli del mondo cercano di effettuare, specialmente i popoli di questo Continente, la cui dipendenza politica ed economica accentua la tragedia dolorosa dei paesi in via di sviluppo.
Per questo, ed essendo sicuro che la tolleranza è una delle virtù più profonde e solide, in tutta la mia vita massonica, che è già arrivata ai 33 anni, nelle Tavole presentate alle diverse Logge della mia patria ho sempre insistito sulla sicurezza, per me certa, che potevo coesistere nei Templi con i miei Fratelli, anche se per molti era difficile immaginare che questo fosse possibile per un uomo che nella vita profana dice pubblicamente di essere marxista. Questa realtà compresa nelle Logge, fu incompresa molte volte nel mio partito. Più di una volta nei congressi del partito fondato nientemeno che da un Ex Serenissimo Gran Maestro dell’Ordine Massonico del Cile, Eugenio Matto Hurtado, fu discussa l’incompatibilità tra l’essere massone e socialista.
È più dura l’intolleranza nei partiti politici. Sostenni il mio diritto a essere massone e socialista allo stesso tempo. In questi Congressi dissi pubblicamente che qualora si fosse accettata questa incompatibilità, avrei abbandonato il partito come militante, anche se non avrei mai smesso di essere socialista in quanto a idee e principi. Allo stesso tempo sostenni che il giorno che nell’Ordine si fosse accettata l’incompatibilità tra le mie idee e la mia dottrina marxista, e l’essere massone, avrei abbandonato le Officine, convinto che ivi la tolleranza non era una virtù praticata. Ho potuto vivere questa realtà (essere marxista e massone, n.d.t.), e credo di poter offrire ai Fratelli della Gran Loggia di Colombia solamente una vita leale ai principi dell’Ordine, dentro l’Ordine e nel mondo profano.
Nel corso di molti anni, da quando, studente, conobbi il carcere, l’espulsione dall’Università e la «relegazione» (pratica dei governi dittatoriali cileni, che consiste nel deportare gli oppositori in regioni isolate del Paese, del tutto analoga al «confino» durante il ventennio fascista; n.d.t.), fino a oggi, sono stato sempre conseguente con le mie convinzioni. Ho sostenuto le mie battaglie in un mondo politico convulso, in un Paese che politicamente ha raggiunto alti livelli, a volte senza possibilità, però sempre sicuro di arrivare un giorno alla Presidenza del Cile.
Mi interessava aprire un solco, seminare un seme, innaffiarlo con l’esempio di una vita di sforzi, perché un giorno questo seme desse il suo frutto; non per me, ma per il mio popolo, quello della mia Patria, che merita un’esistenza diversa. Anche se il Cile, come ho detto poc’anzi, è un Paese che ha raggiunto livelli di sviluppo politico superiori ad altri paesi di questo continente; anche se è un Paese dove la democrazia borghese ha permesso lo sviluppo di tutte le idee, questo si deve alla lotta delle masse popolari per il rispetto dei diritti dell’uomo e alle conquiste ottenute dal popolo in eroiche battaglie per la dignità e per il pane. E sebbene il Cile sia potuto diventare un Paese politicamente indipendente, dal punto di vista economico non lo è. E noi crediamo che sia necessario arrivare all’indipendenza economica, perché il nostro Paese diventi autenticamente libero sul piano politico. E pensiamo che sia fondamentale raggiungere questo obiettivo come Popolo, Nazione o Paese.
Così com’è fondamentale che l’uomo della mia terra perda il timore nei confronti della vita, rompa con la sottomissione, abbia diritto al lavoro, all’educazione, alla casa, alla salute e al divertimento. Pensiamo che l’uomo del Cile debba vivere il contenuto delle parole così significative, come quelle che costituiscono il trinomio fondamentale della Massoneria: FRATELLANZA, UGUAGLIANZA e LIBERTÀ. Abbiamo sostenuto che non può esistere l’uguaglianza quando pochi hanno tutto e molti non hanno niente. Pensiamo che non può esistere la fratellanza quando lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo è la caratteristica di un regime o di un sistema. Perché la libertà astratta deve cedere il passo alla libertà concreta. Per tutto ciò abbiamo lottato.
Sappiamo che il compito è duro, e abbiamo piena coscienza che ogni Paese possiede realtà, metodi, storia e maniera di pensare assolutamente propri. E perciò rispettiamo le caratteristiche che danno un profilo peculiare a ciascuna nazione del mondo, e particolarmente quelle di questo Continente. Però, sappiamo anche, e con piena coscienza, che queste nazioni riuscirono a emergere rompendo le catene, grazie allo sforzo solitario di pochi uomini che, nati in terre diverse, con bandiere diverse, si unirono tutti sotto la stessa bandiera ideale, per rendere possibile un’America indipendente e unita.
La storia c’insegna che poche logge irregolari, come le Lautariane (fondate da Simon Bolivar e altri fratelli stranieri in Cile n.d.t.), furono il seme e il cemento delle lotte per l’indipendenza. E qui, nella Gran Loggia di Colombia, posso ricordare con profonda soddisfazione che Bolivar, quando apprese delle sconfitte, scrisse a O’ Higgins (massone, liberatore del Cile n.d.t.), «che desse prova di tenacia», e queste parole incontrarono eco nel Padre della Patria Nostra, dandogli la forza di recuperarsi e di trasferirsi nella sorella terra argentina dove, insieme a San Martin (massone, liberatore dell’Argentina n.d.t.)ebbe la possibilità di cominciare la battaglia decisiva per la liberazione del Cile. Ebbe per l’estremo Sud America la stessa «visione» che ebbe Bolivar per il resto del Continente. E il 20 agosto salutò le navi che salpavano dalla baia di Valparaiso per cominciare la spedizione liberatrice del Perù con queste parole: «Da questi quattro legni dipende il futuro dell’America». Furono soldati del Cile e d’Argentina che contribuirono alla liberazione del Perù.
Per questo, sapendo che nel mondo contemporaneo più che l’uomo sono i popoli che debbono essere, e sono gli attori fondamentali della storia, ho cercato di far sì che il popolo cileno prendesse coscienza della sua forza, e sapesse incontrare il suo cammino. Personalmente ho solo dato un apporto. Sono state le masse popolari cilene, integrate da contadini e operai, studenti, impiegati, tecnici, professionisti, intellettuali e artisti, atei e credenti, massoni e cristiani, laici. Sono stati uomini formatisi politicamente in partiti centenari come il partito radicale, o di nessuna appartenenza politica, quelli che sono confluiti in un programma che innalzò la volontà combattente delle masse cilene, per affrontare il riformismo della democrazia cristiana e la candidatura del Signor Jorge Alessandri, che rappresentava il capitalismo tradizionale.
Il Cile visse la tappa prolungata, ma non sterile, dei governi tipicamente capitalisti. E dico non sterile, giacché sempre ho sostenuto che nel nostro paese la democrazia borghese ha funzionato veramente come tale. Le istituzioni cilene sono più che centenarie, e quest’anno il Congresso della mia Patria, del quale faccio parte da ventisette anni, due dei quali come deputato e venticinque come senatore, compirà 160 anni di quasi ininterrotto lavoro. Anzi, direi di ininterrotto lavoro.
Per questo non rinneghiamo quello che si è fatto, però comprendiamo che il cammino di ieri non può essere lo stesso di quello di domani. Per questo nel processo politico al vecchio sistema successe la brillante speranza, seminata demagogicamente, di una rivoluzione e una libertà caratterizzate dal riformismo della democrazia cristiana. E nemmeno nego che quel governo, al quale succede il governo del popolo, non abbia compiuto passi avanti nel campo economico, sociale e politico; però sono sempre presenti i grandi deficit che caratterizzano l’esistenza dei popoli come i nostri: casa, lavoro, salute, educazione.
Non esiste nessun paese in via di sviluppo che abbia potuto risolvere almeno uno di questi elementi essenziali, e meno in questo Continente, dove un vasto settore umano è stato sempre misconosciuto; siano essi i discendenti di Atahualpa o i figli di Lautaro nella mia Patria, l’eroico aruaco, il mapuche, l’indio o il meticcio. E, nonostante che essi abbiano dato il seme della nostra razza, sono stati ricacciati indietro e messi in condizione d’inferiorità e, in alcuni paesi, addirittura rinnegati. Per questo la nostra lotta e la nostra decisione dovevano tendere a dare il potere a un popolo che desidera una profonda trasformazione nella parte economica, sociale e politica, non a una trasmissione del potere da un uomo a un altro.
Come ho già detto Serenissimo Gran Maestro, per aprire il cammino verso il suo legittimo diritto al socialismo, il Cile ha una sua propria storia, così come gli altri popoli hanno la loro, ciascuna delle quali avendo caratteristiche peculiari. E la Colombia ha, così come il Cile, una propria vocazione democratica e libertaria. Però noi nel 1938 vivemmo un’epoca diversa da tutti gli altri popoli del Continente, e da quasi tutti i popoli d’Europa e del mondo: il Cile fu uno dei tre paesi del mondo ad avere un «Fronte Popolare». E un massone radicale, Maestro e statista, Pedro Aguirre Zerda, arrivò al potere grazie all’intesa tra il pluricentenario partito radicale, e i partiti marxista, comunista, socialista e democratico.
Nella mia Patria, e oltre la mia Patria, si combatté la possibilità di vittoria del Fronte Popolare suonando le campane del terrore e del panico. Si parlò di «utili idioti», dicendo che comunisti e socialisti si sarebbero serviti dei radicali per instaurare una dittatura. E Aguirre Zerda, radicale di destra, divenne grande con l’esercizio del potere, perché dette vita al contatto con il popolo e alla lealtà nei suoi confronti.
E quando un giorno infausto soldati che non rispettarono il patto contratto con la propria coscienza e con la Costituzione politica, si ribellarono con il futile pretesto che sulla facciata della Casa de la Moneda (il Palazzo Presidenziale, n.d.t.) sventolava una bandiera rossa, mentre, in realtà, si trattava della bandiera di un partito... appoggiata al muro, fu il popolo che circondò le caserme. Fu il popolo che senza nessun’arma li obbligò ad arrendersi, senza che sparassero un solo colpo contro una moltitudine disposta a difendere un radicale massone, Maestro e statista.
Per questo alla radice dell’evoluzione politica cilena ci sono antecedenti che non hanno paralleli, ed è per questo che è difficile capire quello che oggi succede nella mia Patria: per questo è raro che oggigiorno si tema la presenza di un massone o di un socialista alla Presidenza del Cile.
La verità, Serenissimo Gran Maestro, è che nessuno nella mia Patria, né oltre frontiera, può sostenere di essere stato ingannato. Nel corso di più di un anno abbiamo fatto conoscere il programma di Unidad Popular integrata, come già detto, da laici, marxisti e cristiani; da uomini della penna, dell’aratro e della barra (i minatori del rame, n.d.t.). Tutti quelli che l’hanno voluto hanno potuto conoscere il perché e per chi stavamo lottando. Ho sempre sostenuto che se era difficile vincere le elezioni, più difficile sarebbe stato assumere il governo e ancor più difficile costruire il socialismo.
E ho sempre detto che questo era un compito che non avrebbe potuto portare a termine un uomo o una coalizione di partiti, ma solo un popolo organizzato, disciplinato, cosciente, responsabile del suo grande compito storico, e i fatti hanno confermato quello che avevo sostenuto. Fummo combattuti come nell’anno ’38. E io, che sono stato varie volte candidato, so a che metodi si arriva a ricorrere per impedire l’avanzata dei popoli.
Nel 1969 fu creata un’impressionante crociata che disseminò il panico della persecuzione religiosa, il timore della eliminazione delle Forze Armate del Cile, dello scioglimento del Corpo dei Carabineros; argomenti semplici però capaci, grazie alla loro malevolenza nascosta, di essere assimilati e di negarci i voti di cui avevamo bisogno. Ho sempre sostenuto che ogni Paese deve cercare un cammino sulla base della propria realtà. Pertanto ho sempre aggiunto che dal punto di vista teorico, almeno per me, il focolaio guerrigliero, la ribellione armata, il popolo in armi o le elezioni, sono altrettanti cammini che possono scegliere i popoli, in funzione della loro propria realtà. Lo dico senza circonlocuzioni.
Ci sono paesi nei quali nessuno può immaginare che possano avvenire elezioni, poiché non esiste né Congresso (Camera dei Deputati, n.d.t.), né partiti, né organizzazioni sindacali. Per questo percorriamo questo sentiero all’interno delle leggi della democrazia borghese, intenzionati a rispettarle e allo stesso tempo a trasformarle, per rendere possibile un’esistenza diversa all’uomo del Cile, e che il Cile sia veramente una Patria per tutti i cileni. Abbiamo proposto una rivoluzione autenticamente cilena, fatta da cileni, per il Cile. Non esportiamo la rivoluzione cilena per una ragione molto semplice: perché conosciamo, almeno un po’, le caratteristiche di ogni Paese. Per esportare democrazia e libertà debbono esistere delle condizioni che non ha l’immensa maggioranza dei popoli latino americani.
Per questo, Fratelli della Gran Loggia di Colombia, potete rendervi conto della sincerità della nostra posizione di non intervento. È questa l’esposizione franca della posizione di un Fratello davanti ai suoi Fratelli. La nostra battaglia è dura e difficile perché indiscutibilmente, per elevare le condizioni di vita del nostro popolo, dobbiamo effettuare le grandi trasformazioni rivoluzionarie, che feriscono interessi esterni come il capitale straniero e l’imperialismo, e interessi nazionali come i monopoli e le banche.
Siamo convinti che non potremo sconfiggere il sottosviluppo e l’ignoranza, così come la miseria morale e fisiologica, se non utilizziamo le eccedenze della nostra economia per seminarle in scuole, vie, fattorie coltivate con tecnica moderna; per ottenere, nella nostra propria patria, il beneficio di quello che legittimamente ci appartiene. Perché si possa intendere la nostra posizione, posso illustrare come esempio cosa succede in Cile con il rame: questa ricchezza fondamentale per noi, pilastro della nostra economia, rappresenta l’82% delle esportazioni, e produce il 24% delle entrate fiscali. E il rame è stato sempre maneggiato da mani che non sono cilene. Gl’investimenti iniziali delle società americane del rame, 50 anni fa, non superarono i 13 milioni di dollari. E nel corso di questi anni sono usciti dal Cile 3.200 milioni di dollari, che sono andati a fortificare i grandi imperi industriali.
In queste condizioni, come possiamo progredire? Com’è possibile che un popolo, che possiede le più grandi riserve di rame del mondo e la più grande miniera del mondo, Chuquicamata, non può controllare prezzi, né livelli di produzione, né mercati, quando una variazione di un centesimo di dollaro nel prezzo della libbra di rame rappresenterebbe per il Cile un maggior introito di 12 milioni di dollari?
Com’è possibile che questo, che chiamo «il salario del Cile», sia maneggiato da mani che non sono cilene? Cari Fratelli, dichiaro solennemente che in questa decisione nostra, di riscatto delle nostre ricchezze fondamentali, non esiste nessuna volontà discriminatoria, né contraria ai popoli. Rispettiamo gli Stati Uniti come nazione; conosciamo la loro storia e comprendiamo perfettamente la frase di Lincoln quando disse, riferendosi alla sua patria: «Questa nazione è metà libera e metà schiava». Queste stesse parole, questa stessa frase, si possono applicare ai nostri popoli apparentemente liberi, però schiavi nella realtà moderna. Per questo abbiamo lottato e per questo siamo combattuti.
Ho esposto l’esempio del rame, e potrei parlare del ferro, dell’acciaio, del carbone, dello zolfo, e potrei parlare anche della terra. In un paese che può alimentare 20 milioni di abitanti o forse più, si importano carne, grano, grassi, burro, e olio, per un valore di 180-200 milioni di dollari. Se dovesse continuare l’aumento della popolazione alla tassa del 2,9% all’anno, nel 2000 il Cile dovrebbe importare 1.000 milioni di dollari in alimenti. In questo momento, la totalità delle esportazioni cilene sono dell’ordine di 1.200 milioni di dollari all’anno, dei quali, il rame rappresenta 1.030 milioni.
In queste condizioni non potrebbe essere trascurata la necessità di una profonda riforma agraria, che è parte del processo di sviluppo economico di un paese. E non si tratta solamente di un cambio di proprietà della terra, ma dell’elevazione del livello intellettuale e morale del lavoratore della terra. Abbiamo fatto nostra la frase di Tupac-Amaru, il cacicco del Perù, quando disse ai suoi indios: «Il padrone non mangerà più della tua fame». Abbiamo voluto che il lavoratore della terra ottenesse il diritto a mangiare anche lui di ciò che la terra produce.
E io, che sono medico e che sono stato 5 anni Presidente del Collegio Medico del Cile, mentre ero un battagliero senatore socialista, che conosco la vita di associazione di categoria, che posso dire con soddisfazione ai miei Fratelli che i medici del mio paese mi hanno sempre stimato e mi stimano, devo segnalare con il dolore di un cileno ciò che sicuramente succede presso altri popoli: 600.000 bambini della mia patria, una patria, Serenissimo Gran Maestro, che ha raggiunto i livelli politici anzidetti, sono ritardati mentali perché non hanno avuto proteine nei primi 6 mesi della loro esistenza. Di fronte a questa realtà non si può essere conformisti. Di fronte a questo scenario si devono portare nel mondo profano i principi che mi hanno insegnato e che ho appreso nell’Ordine.
Per questo ho combattuto, e per questo mi considero non un Presidente vero e proprio, ma piuttosto un portavoce del popolo, che deve compiere senza tentennamenti il programma che presentò al popolo; giacché ho questo patto con la mia coscienza, il patto di un massone con la coscienza di un massone, con la Storia e con la mia Patria.
Tutto ciò significherà rappresaglie: ferire interessi è duro, e che questi interessi si difendano lo sappiamo e già lo stiamo vedendo. Però fino a quando i popoli di questo Continente accetteranno di essere maneggiati con un controllo a distanza? Nel corso di vent’anni si è parlato di Fondo Monetario Internazionale e della convertibilità della moneta in oro. E dalla notte alla mattina, quando interessa al paese egemonizzatore, si cambiano le regole del gioco e si colpiscono le nostre deboli economie.
Per quindici, vent’anni abbiamo visto che non è potuta entrare alle Nazioni Unite la Repubblica Popolare Cinese, un paese di 900 milioni di abitanti. Però quando conviene ai problemi interni di un paese, alla vigilia delle elezioni, si può dichiarare che si riconoscerà la Cina, e può andare in Cina il Presidente degli Stati Uniti a conversare con Mao Tse Tung. Però noi non possiamo farlo prima.
Fino a quando non riusciremo a vedere che abbiamo diritto di tracciare il nostro proprio cammino, a ricorrere il nostro proprio sentiero, a prendere in mano le bandiere libertarie dei fautori dell’indipendenza di questo Continente per convertirle in realtà, perché questo è il compito che ci affidarono? Se questo è essere rivoluzionario, io dichiaro di esserlo, e se questo è essere massone, anche in questo caso dichiaro di esserlo.
E posso dire ai Cari Fratelli della Gran Loggia di Colombia che nella mia Patria non c’è nessun uomo incarcerato (per le sue idee N.d.T.), nella mia Patria non c’è un solo detenuto politico, nella mia Patria si rispettano tutti i diritti. E questa notte ho avuto il piacere di giungere a questo Tempio accompagnato dall’Ambasciatore del Cile in Colombia, il caro Fratello Hernàn Gutiérrez. E con noi è venuto anche il Direttore Generale dei Carabineros, Generale José María Sepùlveda, anche lui un nostro Fratello, ed egli sa perfettamente, come lo sa il Caro Fratello Gutiérrez, che è certo quello che sto affermando.
E se ci fosse tuttavia la necessità di trovare un testimone, è qui presente un Fratello che vide in questo Tempio la luce massonica, poiché è Colombiano. Si tratta dell’Ambasciatore di Colombia in Cile, che non ha dimenticato di essere massone, e io ebbi la gioia e la fortuna di salutarlo e stringergli la mano dopo il trionfo delle urne, in un Tempio Massonico, dove venne essendo diplomatico, come entra Gutiérrez nelle Logge (colombiane - N.d.T.) per assolvere al suo obbligo massonico.
Per questo sostengo che a giudicare dal clima creato prima e durante le elezioni, verranno fatti molto più gravi, che dovremo affrontare. Però, anche se esistono governanti o governi che credono legittimo difendere gli interessi di pochi, seppure molto potenti, io sostengo il diritto di difendere l’interesse del mio popolo e della mia Patria, contro gli interessi di pochi. Se qualcuno pensa che in questo momento le minacce materiali possono piegare i popoli, si sbaglia.
Gli Stati Uniti devono apprendere la lezione del Vietnam. E la lezione del Vietnam è una lezione per tutti i paesi piccoli, perché è la lezione dell’eroismo e della dignità. E mentre ci sono paesi che spendono centomila milioni di dollari all’anno in un Continente che non è il loro, per impedire a un popolo di darsi il destino che vuole, c’è un’America Latina che deve stare con le mani tese e implorante, per poter ottenere piccoli prestiti, gocce di latte dalle grandi mammelle del paese più poderoso del capitalismo. Anche se da questo Continente nell’ultimo decennio sono usciti, per il principio d’ammortizzazione di capitali e interessi, molti più milioni di quelli che sono entrati come investimenti esteri. L’America Latina, un Continente povero, è esportatore di capitali, al contrario del paese più poderoso del mondo, il paese del capitalismo internazionale.
E per questo che questa è la nostra lotta, ed è per questo che uso questo linguaggio, che è il linguaggio della chiarezza, come sono obbligato a farlo davanti ai miei Fratelli. È una lotta frontale che non si svolgerà solo in Cile: si sta scatenando in tutte le parti del mondo, perché stiamo vivendo il momento di trascesa, in cui i vecchi sistemi scricchiolano, ed è nostro obbligo stare con gli occhi aperti rispetto a ciò che succederà domani, analizzando se siamo capaci di incontrare quegli alvei che permettano alle grandi masse continuare un cammino che non sia quello della violenza inutile.
L’ho detto nel mio Paese, e lo ripeto qui tra i Fratelli di Colombia: io non sono una diga, però sono sì l’alveo nel quale il popolo può camminare con la sicurezza che i suoi diritti saranno rispettati. Le valanghe della Storia non possono essere trattenute. Le leggi repressive non possono calmare la fame dei popoli. Potranno forse ritardare per qualche anno, forse anche una generazione. Però, presto o tardi, si romperanno le dighe e la marea umana irromperà; però questa volta con violenza, una violenza a mio giudizio giusta, perché la fame e la sofferenza sono più che millenarie in molte parti, e centenarie nel nostro Continente.
Se vecchie istituzioni come la Chiesa vedono trasformarsi i contenuti della loro propria esistenza, se i vescovi riuniti in Medellin usano un linguaggio che solo cinque o dieci anni fa sarebbe apparso rivoluzionario, è perché hanno compreso che debbono recuperare il Verbo di Cristo, se vogliono salvarsi come istituzione. Perché, se continuano a far sì che essa sia compromessa permanentemente con gl’interessi di pochi, nessuno domani crederà nell’insegnamento di colui che la dette: il Maestro di Galilea, rispettato da me perlomeno come uomo.
Ed è per questo che io penso e sogno. Sogno la notte dell’Iniziazione, quando ascoltai queste parole: «gli uomini senza principi ed idee ferme, sono come quelle imbarcazioni che, perso il timone, si incagliano sugli scogli». Voglio che i Fratelli di Colombia sappiano che non perderò il timone costituito dai miei principi massonici. È difficile fare una rivoluzione senza un costo sociale, ed è duro scontrarsi con i poderosi interessi internazionali e nazionali.
L’unica cosa che desidero è che un domani, una volta compiuto il mio mandato, possa entrare (a testa alta, n.d.t.) nel mio Tempio, così come sono entrato ora in qualità di Presidente del Cile.

Versione trascritta dal nastro magnetico registrato dalla Gran Segreteria della Gran Loggia di Colombia
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