Verso la dissoluzione del Regno Unito? Il responso tra poco più di tre mesi. Il prossimo 18 settembre, infatti, la Scozia è chiamata al referendum sull’indipendenza, come scaturito dall’accordo di Edimburgo siglato il 15 ottobre del 2012 tra David Cameron e Alex Salmond, rispettivamente primo ministro britannico e scozzese. La consultazione deciderà se l’accordo che lega Scozia e Inghilterra da 307 anni debba proseguire o meno. Un passaggio storico, quindi, che potrebbe segnare il destino del Regno Unito. La vittoria indipendentista scozzese, tra l’altro, potrebbe accelerare il processo di riunificazione irlandese.
Se gli indipendentisti scozzesi, per la loro rinascita, confidano in una strategia economica che li veda protagonisti sulle consistenti riserve petrolifere del mare del Nord, sfruttate oggi da Londra e su un progetto di reindustralizzazione che intende investire anche sulle energie rinnovabili, Londra, con David Cameron in testa, promette ulteriori margini di autonomia, dopo quelli concessi nel 1997.
Saranno mesi incandescenti. Dieci giorni fa, nel corso della conferenza stampa congiunta con David Cameron al G7 di Bruxelles, il presidente USA, Barack Obama, ha fatto proprie le preoccupazioni di Londra. Soprattutto, ha indicato i desiderata della Casa Bianca. Primo: “è interesse degli Stati Uniti che un alleato storico come il Regno Unito rimanga forte, robusto e unito”. Secondo: “noi condividiamo una visione strategica con la Gran Bretagna su molte questioni internazionali, perciò è sempre incoraggiante per noi sapere che la Gran Bretagna ha un seggio al tavolo del più vasto progetto europeo. Non riesco a immaginare che quel progetto vada bene in assenza della Gran Bretagna”. Un’affermazione, questa, figlia dell’esito del voto britannico alle europee di maggio.