Nonostante il crescendo di consensi degli ultimi mesi, il sogno indipendentista scozzese si è fermato al 44,70%. La questione è però tutt’altro che chiusa e questo storico evento referendario lascia un Regno Unito profondamente diverso.
L’esito del voto è stato condizionato principalmente da due fattori: 1. dagli inquietanti scenari sulla non tenuta in una Scozia indipendente degli assetti economici e sociali, scenari catastrofistici prospettati dai fautori dell’unionismo britannico, in stile UE, con un ‘battage’ martellante alla popolazione (ad Aberdeen, ad es., capitale scozzese del petrolio, anche le aziende energetiche si sono spese in tal senso); 2. dalle promesse di una più ampia devoluzione alla già ampia autonomia della Scozia, specie in materia fiscale e di stato sociale, comprensive di una più ampia delega di poteri alle autorità locali, promesse giunte e reiterate nelle ultime due settimane dal primo ministro britannico conservatore, David Cameron, dal principale dirigente dei laburisti, Ed Miliband, e da Nicholas Clegg, guida del partito Liberal Democratico e vice-primo ministro del Regno Unito.
Insomma, se l’indipendenza per ora non c’è, gli spazi di sovranità della Scozia sembrano destinati ad allargarsi e proprio ad esito referendario acquisito anche da Galles e Irlanda del Nord forze politiche ed autorità locali hanno chiesto un cambiamento del Regno Unito. Il laburista Carwyn Jones, primo ministro gallese, ha dichiarato che “il Regno Unito, come lo conosciamo, è morto” ed ha accusato Cameron di aver quasi portato il Paese sull'orlo della dissoluzione per la sua gestione del referendum.
Un quadro politico, quello britannico, che entra in una fase di acuta fibrillazione: le promesse di una devoluzione ampliata alla Scozia hanno rilanciato aspettative irlandesi e gallesi da un lato, ma spaccato dall’altro i conservatori con almeno un centinaio di deputati inglesi che prefigurano scenari di ribellione al loro primo ministro e annunciano una dura opposizione ai Comuni. Poi vi sono le fibrillazioni anti-UE nello stesso partito conservatore e la crescita dell’Ukip, il partito di Farage, favorevole all’uscita dall’Unione Europea.
La strada per l’indipendenza scozzese non è affatto detto che si sia fermata oggi, per un esito referendario che li vede uscire rafforzati e nient’affatto con le ossa rotte, e che è destinato a cambiare assetti e rapporti di potere nel Regno Unito.
Intanto in Spagna, per il referendum catalano del 9 novembre, è scontro tra autorità e forze politiche catalane da un lato e Madrid dall’altro.