L'aggressione USA alla Siria è tutt'altro che scongiurata. La posta in palio è ben più significativa della motivazione pretestuosa sull'uso delle armi chimiche che l'amministrazione Obama sta adducendo per giustificare l'aggressione. Le mire geopolitiche imperiali, laddove c'è la disponibilità di ottenere il più possibile, se non tutto, con l'uso della forza, non si fanno certo imbrigliare da accordi diplomatici. Ecco perché alla guerra, prima o poi, Washington arriverà. Vuole arrivarci. La proposta russa di mettere sotto controllo internazionale e poi distruggere gli arsenali chimici siriani (con annessa richiesta dell'adesione della Siria alla Convenzione sulle Armi Chimiche, che impedisce agli aderenti produzione e uso) è stata pelosamente colta dalla Casa Bianca che, nei limiti che contiene, vede spiragli di opportunistiche manovre.
Parlando poche ore fa in diretta tv negli States, Obama è tornato sul pulpito e ha rilanciato le sue accuse senza prova: Assad è un criminale, ha ordinato lui –il 21 agosto– l'uso di armi chimiche, è una minaccia per la sicurezza mondiale.
Due i passaggi chiave da considerare:
1. la riaffermata volontà di reagire contro i crimini chimici (suppostamente, ndr) compiuti dal regime siriano, per dare anche un segnale ad "altri dittatori", cioè a Stati non disposti ad essere proni al servaggio USA;
2. la richiesta al Congresso di uno slittamento del voto, con la motivazione di consentire alla diplomazia di fare il suo corso.
L'intento dell'amministrazione è quello di guadagnare un po' di tempo con l'apparente propensione ad una soluzione diplomatica, utile poi per salvaguardare l'immagine scaricando al momento opportuno le responsabilità sulla controparte, aggirare difficoltà interne di consenso, allargare il fronte di chi militarmente parteciperà al conflitto arrivando ad ottenere un qualche avallo formale dell'ONU. La Casa Bianca ha insomma iniziato una partita a scacchi per arrivare alla guerra nelle migliori condizioni possibili. Questione di tempo, quindi.
La tesi dell'attacco "limitato" nel tempo e nello spazio, infatti, presenta per Washington altissimi rischi di rovesciarsi nel suo contrario. Gli Stati Uniti non intendono ritrovarsi da soli in una guerra allargata quantomeno su scala regionale e con tempi lunghi ed indeterminabili. Vogliono piuttosto che a sostenere questi oneri (finanziari e militari) siano altri Stati, il maggior numero possibile. Questo per servirsene nel perseguire i propri obiettivi strategici (nell'ordine: Siria, Libano, Iran) di avvicinamento minaccioso a potenze come Russia e soprattutto Cina, allo stesso tempo inchiodando a spese 'improduttive' le finanze di paesi subalterni del campo 'occidentale', già nella morsa della recessione indotta dagli assurdi vincoli dell'Unione Europea, e riaffermando la propria egemonia commerciale ed economica nell'area euroatlantica.
La proposta diplomatica russa, che in tutta evidenza mira a frenare la guerra, rischia di finire con lo scaricare sulla Siria la responsabilità di un fallimento della soluzione "negoziale". Due sono i punti decisivi che risultano rimossi: a) l'onere per Washington di prove con riscontro nelle sue accuse a Damasco; b) gli stretti rapporti che non solo gli Stati Uniti hanno –in termini di forniture d'armi (anche chimiche), di finanziamenti e di sostegno logistico– con le bande terroristiche alqaediche & affini che operano in Siria contro il popolo ed il suo legittimo governo.
La proposta di Mosca è invece assunta nell'ottica di una risoluzione che prepari il terreno per l'attacco. Già la Francia del "socialista" Hollande, che spinge per la guerra nella speranza di trarre benefici dal suo lealismo pur subalterno all'alleato/padrone USA, ha tentato una prima bozza di risoluzione all'ONU che prevede la condanna formale dell’attacco del 21 agosto scorso attribuito alle autorità siriane, un deferimento di Assad alla Corte Penale Internazionale ed una serie di conseguenze per eventuali violazioni dei termini previsti dalla risoluzione. Oltre, ovviamente, alla tutela internazionale dell’arsenale chimico siriano. Una inaccettabilità subito stigmatizzata dal ministro degli esteri Lavrov, che dà però il senso della "soluzione diplomatica" ricercata dalla Casa Bianca e dai suoi ascari 'atlantici': una ammissione di colpa ed una resa senza condizioni. Si parla di mediazione ma è chiaro che questo obiettivo di fondo non è mediabile. Ci sarà un vincitore ed uno sconfitto.
L'aggressione alla Siria non è quindi scongiurata. Tutt'altro. E' necessario 'non abbassare la guardia' e, nei termini e modi possibili, sviluppare il massimo di informazione e di mobilitazione per fare la propria parte a contrastare l'ennesima aggressione imperialista con la relativa mattanza umanitaria che scatenerà.