Dopo la Libia, l'Iran? I segnali di un'Apocalisse
Il britannico "Guardian" conferma: un vasto piano d'attacco all'Iran, preparato dal Pentagono, è già pronto. Londra ha garantito ad Obama sottomarini, Tomahawk e, se necessario, forze speciali sul terreno. Così scrive ieri, citando fonti militari britanniche.
In Israele intanto si sta preparando l'opinione pubblica alla guerra d'aggressione. L'ennesima. Venerdì scorso Nahum Barnea, una fama di giornalista tra i più informati tra quelli israeliani, taluno sostiene per la contiguità con i servizi, ha scritto di sapere per certo che Netanyahu (primo ministro) e Barak (ministro della difesa) hanno già deciso, in segreto, l'attacco ai siti nucleari iraniani. Lo stesso giorno Shimon Peres, capo dello stato ebraico, confermava (
https://indipendenza.forumattivo.it/t902-peres-avverte-l-ora-x-della-guerra-all-iran-si-avvicina ).
I tempi? Prima dell' inverno o in primavera. Lo stesso Barak, che inizialmente aveva smentito la notizia, mostrando irritazione (se studiata o effettiva non è possibile accertarlo) ha dichiarato: «
Non vogliamo nascondere le nostre intenzioni. Ma certe cose non possono essere discusse sotto i riflettori». E lo stesso, oggi, ha ripetuto (come del resto Netanyahu alla Knesset, lunedì scorso) che un Iran nucleare rappresenterebbe «
una grossa minaccia per il mondo» e che Israele, che «
è il paese più forte per le mille miglia attorno a Gerusalemme», non intende stare a guardare.
Le sue parole si sono temporalmente accompagnate ad alcuni atti militari, ultimi in ordine di tempo, di un certo peso.
Ieri è stato effettuato il test di un nuovo missile a lungo raggio. Lanciato dalla base di Palmahim, vicino a Tel Aviv, ha prodotto nel cielo una tale scia bianca da spaventare molti israeliani che hanno chiamato allarmati le autorità del posto intasando le linee telefoniche.
Un altro atto, che evoca peraltro il più che probabile intervento della NATO e quindi anche dell'Italia, è stato la simulazione di un attacco a distanza nei cieli sardi, nella base NATO di Decimomannu. Da giorni si susseguono esercitazioni tra sei squadroni con la stella di David e gli Eurofighters italiani, i Tornado tedeschi, gli F-16 olandesi.
Israele resta diviso tra chi, come tra chi sta al governo, è per la guerra presto, subito, e chi sostiene che, nell'arco di due anni, il sistema politico iraniano possa essere imploso accendendo anche lì una rivolta. Posizione, quest'ultima, che la dice lunga sugli eventi di Libia e di Siria.
Sarà necessario prestare attenzione ai fatti e ai segnali che verranno già nei prossimi giorni. Ad esempio quanto sul nucleare iraniano dirà martedì prossimo l'AIEA (Agenzia Internazionale sull'Energia Atomica). Le pressioni di Washington sono note da tempo e diversi osservatori non escludono che si stiano di molto intensificando in queste ore. Non sfugge l'importanza mediatica di utilizzare il pronunciamento dell'Agenzia, ragion per cui si sta spingendo per tarare in un modo, piuttosto che in un altro, le parole del rapporto.
Dopodiché? Certo, nell'ottica imperiale, anche il riportare, tramite guerre, i paesi all'età delle pietre concorre ad un loro ridimensionamento del peso politico ed apre pure all'acquisizione di posizionamenti geopolitici, di risorse e di spazi commerciali sotto il proprio controllo. Ma è di una evidenza sconcertante che attaccare l'Iran non è come attaccare l'Iraq o la Libia, paesi tutt'altro che 'normalizzati', peraltro. Colpire Teheran significa aspettarsi una risposta non solo da questo paese, ma anche da un pluriverso di forze (Hezbollah, siriani, Hamas,...) consapevoli che, in caso di liquidazione dell'Iran, la loro posizione sarà oggettivamente più debole, perché senza freni sarà a quel punto la tracotanza dell'imperialismo regionale israeliano. Tanto più che contro si avrebbero potenze del calibro degli USA/NATO e di Israele. Quindi, tanto vale combattere adesso.
Washington non sta facendo mancare il suo sostegno ad Israele. Nemmeno una settimana fa, per aver l'Unesco, organismo ONU che si occupa di educazione, scienza e cultura, riconosciuto a maggioranza la Palestina (107 contro 14, e 52 astenuti, tra cui l'Italia) come Stato membro a tutti gli effetti, Washington ha decretato il taglio dei finanziamenti, in ossequio a due leggi approvate negli anni '90 negli States, che vietano il finanziamento di qualsiasi organizzazione ONU che accetti la Palestina come membro a pieno titolo. A novembre era prevista l'assegnazione di 60 milioni di dollari che il dipartimento di Stato ha informato essere per questo saltata. Significativo ricordare che gli USA sono rientrati nell'Unesco solo nel 2003, dopo anni di boicottaggio, dovuti, così aveva dichiarato Washington, alla «
crescente disparità tra la politica estera USA e gli obiettivi dell'Unesco». Pur in ultra arretrato con il pagamento delle quote, la presenza USA all'Unesco è stata rilanciata da Obama che considera quella parigina un'organizzazione di interesse strategico per la politica estera USA, in quanto utile strumento multilaterale per propagare i valori occidentali.
Pur tuttavia colpisce un fatto, che il Premio Nobel per la Pace, Barack Obama, sotto elezioni e con una tutt'altro che risolta crisi, generata in questo paese ed esportata particolarmente nei paesi alleati/subalterni, non mostra remore ed anzi sta fomentando per trascinare gli Stati Uniti nella quarta guerra da un decennio a questa parte.
Ma quale sarà effettivamente la linea che prevarrà al Pentagono –attaccare prima la Siria, qualche altro paese o l'Iran– lo si potrà meglio capire già nei prossimi giorni. Da Tel Aviv l'indicazione che viene è chiara. Per l'Italia sarà l'ennesima chiamata alle armi. Garante Napolitano, forse già con un governo post-berlusconiano.