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| Anti-americanismo o anti-imperialismo? | |
| | Autore | Messaggio |
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alekos18
Numero di messaggi : 1117 Data d'iscrizione : 04.04.07
| Titolo: Anti-americanismo o anti-imperialismo? Sab Mag 26 2007, 16:04 | |
| Anti-americanismo o anti-imperialismo? Vorrei aprire con voi una discussione su anti-americanismo / anti-imperialismo e, allo stesso tempo, dire la mia su quel che ritengo debba essere un corretto approccio nazionalitario al tema. Della questione, in un modo o in un altro, si tornerà a parlare a brevissimo, a ridosso dell'arrivo di Bush in Italia (9 giugno). Per inciso: manifestiamo più numerosi possibili contro la sua sgradita presenza, per il significato simbolico che la sua figura / funzione riveste. Secondo me, definirsi (o accettare la definizione sistemica di) "anti-americani" è un non-senso in sé ed è anche non coerente con una visione di tipo nazionalitario della lotta politica. E' preferibile definirsi anti-imperiali / anti-imperialisti, anche se, all'interno del variegato mondo che si riconosce in questa definizione, vedo un grosso equivoco concettuale: ritenere che oggi esistano vari imperialismi (statunitense, britannico, tedesco, francese, italiano, ecc.) o addirittura un super-imperialismo (una sorta di comitato d'affari della borghesia sovra-nazionale e pluri-statuale che avrebbe il suo braccio armato negli Stati Uniti) è un'affermazione dogmatica, fideistica, assolutamente priva di fondamento nella realtà dei fatti e delle situazioni concrete. Non si tratta di vuota accademia: ritenere, ad esempio, che l'Italia sia un paese imperialista oppure un paese subalterno, colonizzato, a sovranità (molto e sempre più) limitata, è decisivo per l'indirizzo, la taratura e le dinamiche stesse della lotta politica. Per ora mi limiterò ad una focalizzazione per punti sull'anti-americanismo. Perché respingere la definizione di anti-americani: 1. E' un concetto mistificatorio. Totalitario e fuorviante. Demonizza generalizzando. “America” non è sinonimo di Stati Uniti. Nella convenzionale definizione geografica di America, declinata sovente al plurale (“le Americhe”), si va dal punto estremo settentrionale di capo Morris Jesup a quello meridionale di capo Horn, a sud della Terra del Fuoco, ad includere una pluralità diversissima di tradizioni culturali, lingue, costumi, mentalità. Oltre che di Stati. L’ anti-americanismo, pertanto, legittima, già solo sul piano della comunicazione generale, un'illusoria -ed impossibile da definire- idea di americanismo riferita ai soli “Stati Uniti”. 2. Di più. Quando si parla di “America”, o anche di “Europa”, siamo in presenza non della complessità di un fenomeno, ma dell’assemblaggio confusionario ed arbitrario di cose diversissime al loro stesso interno. “ Americanismo”, “ europeismo”, sono operazioni ideologico/intellettuali da Grande Narrazione, una costruzione artificializzata, senza anima storica, culturale, linguistica, filosofica, sociale. L' anti-americanismo, come appunto l’ anti-europeismo, divengono così, curiosamente, un’implicita legittimazione ideologica, molto superficiale, di inesistenze culturali comuni, omogenee, al loro interno. Per inciso, gli stessi Stati Uniti, più che essere una nazione, sono uno Stato comunitarista (il comunitarismo wasp gerarchicamente egemone rispetto a tutti gli altri comunitarismi esistenti nello Stato). 3. Concedendo, come pura forzatura, da ipotesi di scuola, l'identificazione americanismo=Stati Uniti, l'anti-americanismo finisce con l'incorporare di fatto aberrazioni concettuali, culturali e politiche. Ci si immette in strade di tipo discriminatorio e razziste, un razzismo che trova presunta giustificazione sul piano culturale. Una sorta di "contro-guerra di civiltà" uguale e contraria a quella, per intenderci, bushita. L’uso della nazionalità, o anche della statualità, come ingiuria, come antitesi, è sempre una pratica discriminante e totalitaria. È inclusiva in senso assoluto, ed è altrettanto assolutamente escludente. Al più tollera delle eccezioni, salva delle singolarità, degli abitanti, come atto non tanto munifico di benevolenza e liberalità, quanto di attenuazione del suo portato di sgradevolezza e di totalità. Ma resta il fatto. 4. Definendosi anti-americani, si è legittimamente marchiati e giudicati prima di essere ascoltati, dal momento che non si distingue così fra popolo da un lato e amministrazioni USA, classi dirigenti, transnazionali, complesso militar/industriale, servizi segreti (CIA, ecc.), eccetera, dall’altro. Quand'anche vi siano strati popolari che per interessi personali, di condizione sociale, a fini cioè di miglioramento del proprio status, condividessero -e nella realtà questo avviene- l'indirizzo delle classi dominanti imperial / imperialiste statunitensi, ciò, a mio avviso, non legittima lo stupido e generalizzatore anti-americanismo. Il fatto che un D'Alema o un Berlusconi o oggi un Prodi portino l'Italia in guerra (e qui poco importa che avvenga al seguito dell'alleato/padrone USA, perché in linea assolutamente ipotetica sarebbe potuto avvenire per scelte proprie) non motiverebbe né fuori, né dentro il nostro paese, la sensatezza di un movimento culturale e politico anti-italiano o anti-italianista. 5 . L’ anti-americanismo (basato peraltro su un inesistente americanismo=Stati Uniti) come un qualsiasi atteggiamento anti-qualunque nazionalità diventa una versione religiosa, un modo per creare, senza fondamenta poi, un Male Assoluto. Un vero e proprio integralismo sociale alla rovescia, sulla base di un fondamentalismo ideologico prescrittivo ed intrinsecamente portatore di devastazioni culturali e tragedie sociali. Ogni anti-nazionalità porta con sé un’idea di “responsabilità collettiva” che è l’anticamera della demonizzazione di questo o quel popolo, di questa o quella cittadinanza. Così facendo, si incorporano due imperdonabili colpe strategiche: di omissione e di con/fusione. La prima –l’ omissione– consiste nella rimozione della lettura delle differenze e degli interessi di classe, anche contraddittori, interni alla formazione sociale in oggetto, e quindi delle forze che possano essere il motore sociale di un progetto di trasformazione radicale dell’esistente. La seconda –la con/fusione– consiste nel sancire un’implicita equazione tra Stato e nazione, tra apparati ed interessi privatistici (quantunque conflittuali internamente) da un lato e dall’altro collettività subalterne di classi (quantunque frazioni di queste siano legate per interessi –generalmente di opportunità e convenienza, mai, a ben vedere, strategici e strutturali– a questo o quel carro dei dominanti). Qui siamo al cuore dell'approccio nazionalitario che "Indipendenza" sostiene e che, a ben vedere, caratterizza i movimenti di liberazione nazionale degni di questo nome. Per ora mi fermo qui. A voi la palla. | |
| | | kamo
Numero di messaggi : 271 Data d'iscrizione : 10.05.07
| Titolo: Re: Anti-americanismo o anti-imperialismo? Dom Mag 27 2007, 14:42 | |
| In effetti quanto dici mi ha dato da pensare. Spesso, vedendo manifesti o collegandomi su siti di gruppi di estrema destra, noto che si parla di antiamericanismo ma non di antiimperialismo. Noto anche che tutti questi gruppi parlano di una “grande Europa”, taluni definendola Eurasia e sostenendo la legittimità dell’idea di Impero. Questo tuo scritto mi sembra importante per precisare e distinguere, non per essere settari ma per evitare confusione e non mischiarsi con chi sostiene certe tesi. Non bisogna certo auspicare il superamento dell’imperialismo USA con uno nuovo ancora più prossimo ai nostri confini.
A questo punto, per approfondire un aspetto e chiarirmi ulteriormente le idee, mi verrebbe spontaneo chiederti che ne pensi della vulgata comune per cui la nazione sarebbe un concetto di "destra", capire meglio in che senso, come hai scritto in un precedente "topic", le destre "per loro natura operano una distorsione ideologica dell'idea-forza di nazione", capire insomma quali siano a tuo parere le "idee forza" che caratterizzano il mondo dell'estrema destra. In ogni caso dalla lettura di questi tre "topic" sono emersi dei concetti oserei dire 'originali', che di certo mi spingono a rivedere certi dati "culturali" in precedenza assunti acriticamente, e di questo ti ringrazio. A risentirci | |
| | | Sandinista
Numero di messaggi : 6 Data d'iscrizione : 29.05.07
| Titolo: Re: Anti-americanismo o anti-imperialismo? Mar Mag 29 2007, 16:31 | |
| La contrapposizione anti-americanismo (in realtà anti-usa) e antiimperialismo è importante e va fatta partendo da una considerazione preliminare. Innanzitutto bisogna evidenziare quale sia il punto di partenza come sempre ovvero se parlare solo da un punto di vista economico oppure partire da una visione sociologico-antropologica. Economicamente parlando l'identificazione tra antiamericanismo e antimperialismo presuppone una confusione molto presente in taluni ambiti marxisti riguardo l'idea di Capitale. In genere sempre più il capitale viene pensato come un Capitale-Moloch metafisicizzato ed omogeneo senza alcuna contrapposizione interna o peggio del tutto omogeneo e organico (alcuni in passato arrivarono a parlare di Stato Imperialista delle Multinazionali) dimenticando che al proprio interno il capitale vive di correnti che si combattono tra loro a più livelli arrivando nelle fasi di recessione e di crisi di accumulazione (come è l'epoca che stiamo vivendo) ad entrare nella fase imperialista (possibilmente senza poi da qui degenerare nei deus ex machina luxemburghiani) che si configura come fase di guerra (anche armata e puramente militare) imperialista e interimperialista. Cadendo però questo presupposto ecco allora che l'antimperialismo viene fatto coincidere con l'antiamericanismo essendo gli Stati Uniti i portabandiera dopo il crollo dell'URSS dell'imperialismo dopo "la fine della storia" del Fukuyama pensiero. Conseguenza diretta di questo pensiero (tra l'altro per altri motivi dominante nella destra radicale e nel neofascismo) è l'appoggio per tutto ciò che agli Stati Uniti si contrappone, dalla Russia di Putin all'Iran sino alla socialcapitalista Cina per finire con quelle forme asiemmetriche e nuove di imperialismo anazionale ed internazionalista come Al-Qaeda. Basta vedere ad esempio ciò che sta accadendo in questi giorni nei negoziati tra Stati Uniti ed IRan sulla questione irachena. E' chiaro che economicamente esiste un imperialismo europeo (in cui a sua volta le nazioni interne alla UE combattono una guerra capitalista di egemonizzazione), esiste un imperialismo cinese ed uno indiano, un subimperialismo brasiliano etc. Fondamentale tuttavia rimane l'idea che come in tutti i campi di scontro anche all'interno dell'imperialismo mondiale esiste una parte egemone e capace di assumere il controllo, ed indubbiamente questo è rappresentato attualmente dagli Stati Uniti la cui aggressività imperialista rinnovatasi è dovuta alla crescente crisi econimica e sociale interna e alle vicende legate alla ridefinizione capitalista dei mercati apertasi con la costituzione della UE e dell'ascesa delle tigri asiatiche cinesi ed indiane.
Ed ora sinteticamente passiamo all'imperialismo sociologico ed antrpologico. Da questo punto di vista è indubbio che il modello culturale e sociale basato sull'uomo come ente commerciale (e non marxianamente come ente naturale) sia un parto del ventre statunitense cristallizzatosi nel modello liberalista e liberista di Fukuyama per cui conseguenza della "fine della storia" diventa il congelamento e la criminalizzazione di tutto ciò che è "altro da sè" culturalmente e socialmente, ed in questo ambito vanno a ricadere il comunismo e quelle forme sociali legate al mondo islamico ed alla periferia capitalista (ad esempio il bolivarismo che chiaramente non si esaurisce nell'esperienza chavista venezuelana). | |
| | | alekos18
Numero di messaggi : 1117 Data d'iscrizione : 04.04.07
| Titolo: Re: Anti-americanismo o anti-imperialismo? Sab Giu 09 2007, 00:05 | |
| Mi sembra che tu convenga sulla necessità di non sostituire anti-imperialismo con anti-americanismo. Tu sai che, sul piano politico, esistono forze che fanno dell'anti-americanismo la loro ragione costitutiva o comunque il proprio asse identitario. Ce n'è qualcuna a sinistra ed impazzano ovviamente (per frustrazione da concorrenza imperiale repressa) in certa destra. Non è innocente e politicamente incolpevole, quindi, definirsi anti-americani. Non penso solo al fianco che si offre agli apologeti e ai servi dell'imperialismo attualmente egemone, che hanno facile gioco nel far leva sull'equivocità di certe definizioni totalitarie e totalizzanti in termini discriminatori, nello spostare i nodi del contendere e nello squalificare, agli occhi e alle menti dei più, la demenza politica dell'anti-americanismo. Non penso e non vedo solo questo. Vedo anche, con molta preoccupazione, la confusione politica, il disorientamento, l'innesco di sterili polemiche che questo ingenera, quando poi diventa inevitabile che, in un modo o nell'altro, si delineino terminologicamente, concettualmente, operativamente, commistioni -non casuali quindi- con forze della destra radicale e del neofascismo che, rilevi giustamente, quella balzana idea "dominante" (l'anti-americanismo, appunto) hanno e di quella fanno l'asse di un inquietante delirio imperiale europeo. L'anti-americanismo che viene da certa destra ha una prospettiva frustrata da imperialisti europei/euroasiatici (ancora, e spero sempre) mancati. Avallare, anche con l'uso di certa terminologia, indirizzi politici da definire altrimenti squalifica certe lotte e certi legittimissimi sostegni (ad esempio alle Resistenze anti-imperialiste) accendendo i riflettori su equivoche ed ambigue commistioni rosso-brune. L'isolamento e l'essere alla fine funzionali ad un gioco delle parti gradito dall'alto, in cui ti collocano all'angolo e servi politicamente da specchio preventivo per legittimare e rafforzare l'immagine degli States, mi sembra una conseguenza ovvia e scontata. Vedi, è come se, nella Germania degli anni Venti, per opporsi legittimamente ai diktat sanciti a Versailles dagli imperialisti vincitori della Prima guerra mondiale, ci si fosse alleati con i nazisti di Hitler perché in quel momento anti-francesi, verso la Francia che occupava i bacini carboniferi della Ruhr, o comunque perché bisognava unire le forze contro le sanzioni, l'occupazione, eccetera eccetera. A chi pensa di essere troppo furbo capita talvolta di essere vittima di se stessi.
Non concordo su alcuni passaggi del tuo scritto. Ferma restando la natura monocentrica (cioè un solo centro: gli Stati Uniti) imperialista di questa fase, non so su cosa basi l'affermazione "economicamente esiste un imperialismo europeo" che subito a seguire depotenzi dicendo "in cui a sua volta le nazioni interne alla UE combattono una guerra capitalista di egemonizzazione". A parte che parlare di "nazioni", in questo caso, è improprio, se non infondato, e meglio sarebbe dire Stati, e aggiungerei che qui, più precisamente, si apre un campo di confliggenza di e tra frazioni di alta finanza e industrial/produttive anche interna agli Stati, trovo pericolosa l'idea che esista o anche ci si stia indirizzando verso un'autonomia anche imperiale dell'Europa. Non esiste un imperialismo economico che non sia integrato da una direzione politico/militare all'altezza di certe pulsioni espansive e aggressive. Secondo me, è pericoloso e fuorviante come analisi ed è poi dirimente sul piano dell'intervento politico -per il fatto che indirizza su una strada piuttosto che su un'altra- avallare l'esistenza di (ancora, perlomeno) fantomatici imperialismi -mi riferisco a quelli che citi: cinese e indiano (curiosità: perché poi declassi il Brasile a sub-imperialismo?). Ritengo che si confondano le pulsioni aggressive capitalistiche esistenti all'interno di uno Stato, pulsioni che per propria natura (capitalistica) incorporano senz'altro una spinta a trascrescere, se potessero, e se fosse disponibile un apparato politico/militare adeguato del proprio Stato di relativo e funzionale riferimento, ma il passaggio non è automatico.
Infine, e chiudo, certo che vengono da sé le conseguenze sociali e culturali della pervasività capitalistica e imperialistica, che a mio avviso non è detto che debbano coincidere necessariamente; in questa particolare fase, per me in parte si giustappongono, in parte no. Nello specifico è possibile parlare di un'esportazione culturale e di modelli sociali simili a quelli statunitensi e trovo ovvia la "la criminalizzazione di tutto ciò che è 'altro da sè' culturalmente e socialmente". Presterei attenzione anche qui, comunque, alla natura delle varie formazioni sociali e/o politiche criminalizzate da Washington. Non per avallarla in certi casi e contrastarla in altri, ovviamente, ma per capire indirizzi, relazioni, modalità delle resistenze, distinguendo i sostegni tattici dagli appoggi strategici, la legittima simpatia resistenziale dalla condivisione, nel proprio ambito culturale, di modelli o forme altre. Chiudo veramente con un ultimo passaggio. Contrapponi tra le righe "il modello culturale e sociale basato sull'uomo come ente commerciale" a "quello marxiano basato sull'uomo come ente naturale". Questo ci porta un po' fuori argomento, ma questa idea di "uomo come ente naturale" mi lascia quantomeno molto perplesso, perché è una chiave di lettura che predispone a diversi esiti, contrastanti, taluno anche inquietante. Semmai non qui, ma altrove, aprendo un'altra "voce", la questione sarebbe da affrontare. Perché è, a mio avviso, la punta di un iceberg. | |
| | | Sandinista
Numero di messaggi : 6 Data d'iscrizione : 29.05.07
| Titolo: Re: Anti-americanismo o anti-imperialismo? Dom Giu 10 2007, 13:28 | |
| Osservazione preliminare: ce l'hai con questo termine "inquietante" che fa sembrare quanto scrivono gli altri qualche cosa di più simile ad un noir di Lucarelli che ad una discussione politica. Visto che su questo fronte già abbiamo una discussione in atto da un altra parte ti chiedo di evitare di insistere su questo modus operandi qui.
Osservazione sulla questione del capitale interno e sull'imperialismo europeo. Il Capitale come dicevo sopra è una struttura elastica al cui interno le varie correnti vivono in un rapporto riproduttivo di simbiosi e scontro contemporaneamente. Allo stesso tempo il CApitale si struttura su vari livelli senza gap tra un livello e l'altro, e quindi all'interno del Capitale generico vivono i livelli transnazionali come quello europeo e poi anche quelli interni agli stati-nazione. Il capitale europeo oggi si prefigura come capitale di appoggio (e allo stesso tempo supportato da) a quello statunitense e all'area nordamericana ma questo processo di simbiosi non elimina il conflitto tra le due parti per l'influenza imperialista (che ha in questo caso una valenza economica prominente). E' noto ad esempio che nel Medio Oriente prima della invasione statunitense dell'IRaq, l'area si stava preparando a sostituire il dollaro con l'euro nelle transazioni internazionali, e lo stesso stava avvenendo in America Latina, chiaramente l'atto di forza statunitense ha messo fine manu militari a questo conflitto economico che avrebbe sganciato anche politicamente ancora di più gli Stati Uniti e il capitale nordamericano dall'area in questione. Il capitale europeo a quel punto ha fatto buon viso a cattivo gioco e si è inserito nel calderone mediorientale dopo la deposizione di Saddam. Mi sembra evidente (almeno per la mia analisi) che dunque vi sia un fenomeno di contrapposizione/appoggio tra imperialismi. Discorso che poi si può estendere ad altri esempi ancora più vicini a noi come ad esempio la questione dello scudo spaziale in Europa di questi giorni. Per quanto riguada il discorso di capitale nazionale è chiaro che faccio riferimento al capitale interno agli stati-nazione. Il capitale interno oggi fa estremamente riferimento allo Stato-nazione in cui si riproduce per una necessità vitale di sussistenza. IL Capitale nasce svincolato dallo Stato-nazione ma nell'attuale crisi di accumulazione ha dovuto necessariamente far entrare dentro di sè lo Stato. In Italia ad esempio il lavoro di questi ultimi anni di Confindustria è praticamente quello di chiedere una sempre più massiccia presenza dello Stato nelle imprese private sotto forma di aiuti economici e incentivi strutturali. QUindi non capisco lo stupore a sentir parlare di capitale nazionale.
Non capisco poi perchè parlare di fantomaticità di fenomeni imperialisti come quello cinese e quello indiano. Vi è nell'area centroasiatica e del Sud Est attualmente una guerra fatta di aiuti economici e interventi di capitale tra India e CIna di vaste proporzioni con riferimentiche vanno dal Vietnam sino al Nepal (qui più volte l'intervento indiano è stato anche militare). Mi sembra che questo tipo di considerazioni su fantaimperialismi possano davvero per dirla come dici tu "inquietanti" perchè sono il terreno fertile per diventare di volta in volta in un ottica non più antimperialista ma davvero antiamericana o antioccidentale (o magari anche antimondialista) filocinesi, filoiraniani, filoindiani, filorussi, filo-quellochesi contrapponeall'imperialismooccidentalediturno. Tra l'altro non è da dimenticare la crescente presenza economica di aziende cinesi e indiane nell'area dell'Africa Australe e di quella del Golfo di Guinea.
[rispondo alla curiosità: il BRasile non ha possibilità per debolezza economica interna e per fattori storici di presentarsi in America Latina come reale concorrente all'imperialismo statunitense e lo dimostra anche la vicenda della nazionalizzazione del gas boliviano di un anno fa circa. La sua tattica dunque non può che essere di subimperialismo concentrandosi su un area di influenza ristretta in quella fascia di stati tra Bolivia ed Uruguay principalmente. Questo detto in estrema e rozza sintesi] | |
| | | alekos18
Numero di messaggi : 1117 Data d'iscrizione : 04.04.07
| Titolo: Re: Anti-americanismo o anti-imperialismo? Lun Giu 18 2007, 23:50 | |
| Risposta preliminare sull'uso dell'inquietante, detto peraltro da uno spirito inquieto. Se vedi bene, lo riferisco a due punti: in uno all'anti-americanismo come asse di quello che ritengo "delirio imperiale europeo" e quell'aggettivo mi serve a marcare la pericolosità di detto fine comunque lo si indori. Lo facevo, sai, perché ci sono deliri e deliri. In un altro punto lo riferivo a certi possibili esiti dell'idea di "uomo come ente naturale (generico)", ma mi riservavo, io o qualche altro compagno, di aprire la questione in un'apposita voce. Che dirti, Sandinista! Mi prende così, visti i tempi che corrono... Suvvia non possiamo farne un dramma.
Brevemente nel merito. Parli di "fenomeno di contrapposizione / appoggio tra imperialismi". Lo fai riferendoti a delle circostanze (euro, scudo spaziale) che sono sì dei fatti, ma non si capisce, per come li poni, il tipo di lettura, di significato che dai. Questo è più evidente per lo scudo spaziale, mentre la dualità monetaria euro / dollaro, che tu leggi come spia di una conflittualità, anche incipiente, tra cosiddetta Europa e Stati Uniti, andrebbe meglio indagata, se non proprio rivista, alla luce del deciso sostegno che da Washington è venuto alla nascita dell'euro e a quel che rappresenta come prescrittività di politiche economiche, monetarie, in senso lato politiche (tra parentesi -già ci stiamo- l'espressione "capitale europeo" che usi non vuol dire -ancora, perlomeno- nulla). Il che rimanda a quel tuo "tra imperialismi", che è indice di una lettura dello stato di fase contemporaneo a mio avviso non fondata e fuorviante. La tua espressione presuppone una pluralità di imperialismi ed anche una certa relazione, come dire, paritetica. I fatti mi inducono a sostenere che esiste un paese a predominanza centrale imperialista in grado di far sentire la sua voce in ogni angolo del globo e della realtà regionali significative, che potremmo anche definire imperiali o imperialiste, ma che appunto sono al più regionali e per giunta non possono prescindere in senso assoluto dalla potenza predominante centrale. Ritenere che esistano più imperialismi, quasi si fosse ad una sorta di riedizione, pur con le ovvie varianti, di uno scenario pre prima guerra mondiale e che si viva dentro uno Stato imperialista, o comunque in uno spazio di mondo caratterizzato da più Stati tutti, più o meno, allo stesso livello imperialistico, a mio modo di vedere è fuori dalla realtà. Lo dico al di là di quanto sostieni tu, perché questa è una tesi che vedo diffusa tra le varie anime dell'area della sinistra radicale istituzionale e non. Queste posizioni non sono affatto di poco conto e comportano inevitabilmente e comprensibilmente certe conseguenze di intervento politico. Se ritengo, infatti, di vivere in un paese imperialista, posso pensare, semplificando, che chi sta al governo o anche apparati più ampi dello Stato siano i responsabili di certe politiche e quindi individuare in una certa struttura di potere la causa prima di certi mali. Ben diverso, ne converrai, anche in termini di conseguente intervento politico, se si ritiene di vivere non in un paese imperialista ma in uno soggetto a dipendenza imperialista, che anche sviluppi politiche di supporto all'imperialismo dominante a fini, ad esempio, di tutela di propri interessi imprenditoriali interni. Quella stessa struttura di potere, che continua ad avere la conduzione politica o che addirittura può alternarsi con la sua controparte dialettica, muta qualitativamente di valenza. Resta responsabile di certe politiche ma la filiera della scala di potere, se si vogliono cambiare le cose o comunque concorrere a determinare che ciò avvenga, pone dei problemi di fondo che richiedono un ben diverso tipo di approccio e di intervento.
La nostra concezione di come un imperialismo si manifesta non è riduttivamente economicistica (non confonde cioè imperialismo e capitalismo) e non è nemmeno riduttivamente militaristica. Il ricorso alla potenza militare, infatti, caratterizza in ultima istanza -non di rado in modo decisivo- un imperialismo ma, attenzione, non significa che sia venuto meno solo perché questo intervalla fasi di cosiddetta "pace". Aggiungo che l'invio di una forza militare da parte di uno Stato di per sé non è indice del suo trascrescere in imperialismo. Non è, cioè, scorrendo la lista dei paesi che inviano contingenti in Iraq o Afghanistan che si può dedurre automaticamente la geografia dell'imperialismo nel mondo. E nemmeno una confliggenza anche dura, che so, tipo tra la Turchia e la resistenza kurda. Ogni capitalismo ha una natura interna, una sorta di vocazione strutturale, che lo chiama a trascrescere in imperialismo, a farsi cioè aggressivo ed espansivo con tutti i mezzi, ma perché questa potenzialità si tramuti in atto ogni capitalismo ha bisogno di uno Stato di riferimento. Non semplicemente uno Stato, poi, ma un certo tipo di Stato, che abbia capacità aggressiva ed espansiva (geo)politica, militare e culturale nell'accompagnare, talvolta nell'anticipare in termini (geo)politici, la penetrazione economica e finanziaria. Ogni Stato ed in ultima istanza questo certo tipo di Stato, pur restando strutturalmente uno spazio conflittuale al suo interno tra forze che a diversi interessi e referenze economico/finanziarie si rifanno, è imprescindibile per il configurarsi di un imperialismo. Ci troviamo, insomma, all'interno di un'articolazione di piani (militare, finanziario, economico, politico, culturale, tecnologico, ecc.) che devono essere tra loro com-presenti e inter-agenti, al di là della preminenza tattica -in questa o quella congiuntura / fase- di uno o più piani. Se uno di questi è assente o largamente deficitario, non c'è fattivamente imperialismo di quello Stato o quantomeno si può individuare una fase calante che sarà significativa in compresenza dell'ascesa di un altro attore statuale dalle analoghe peculiarità di potenza. Uno Stato privo di tali peculiarità è certamente in grado di accompagnare un espansionismo economico-commerciale di gruppi imprenditoriali interni al proprio spazio politico, ma inevitabilmente avrà spazi di manovra limitati ed in ultima istanza consentiti dal contesto imperialistico in cui si andrà a muovere. Le pulsioni di un trascrescere capitalistico in imperialismo autonomo rimangono sempre, ma, ripeto, potrebbero rimanere, per una realtà statuale, potenzialmente inespresse per un lungo tempo indefinito o addirittura per sempre. Proprio gli esempi che portavi (euro, scudo spaziale), e non solo quelli, mostrano come un imperialismo egemone e dominante possa riuscire a rendere inabile, a contenere, a prevenire -con tutta una serie di politiche a tutto campo- l'emersione di un imperialismo concorrente e allo stesso tempo a porsi come catalizzatore degli interessi anche imprenditoriali di paesi subalterni, semplicemente ponendoli di fronte al dilemma di declinare o di avere qualche tornaconto mettendosi in scia di chi detiene l'egemonia.
L'imperialismo non è quindi pensabile, a mio avviso, come un comitato d'affari di una supposta borghesia sovranazionale con, semmai, al suo interno, una sorta di scala gerarchica di ripartizione di sfere d'influenza e di prebende. Non è un moloch indistinto, ma si connota in termini statuali. La fantomaticità di certi supposti imperialismi -valutazione che, mutando le condizioni, può essere rivista ovviamente nel tempo- è quindi una lettura dell'oggi, di un oggi di fase. Non sono affatto convinto, inoltre, che sostenere questo possa costituire, come tu dici, il "terreno fertile per diventare di volta in volta in un ottica non più antimperialista ma davvero antiamericana o antioccidentale (o magari anche antimondialista) filocinesi, filoiraniani, filoindiani, filorussi, filo-quello che si contrappone all'imperialismo occidentale di turno". Non voglio dare l'impressione di chiudere con delle sorte di parole d'ordine, ma è proprio dall'interazione in termini di contenuto teorico e di prassi del nazionalitarismo e quindi di un conseguente -e non casuale nell'ordine- anti-imperialismo ed anti-capitalismo che si può pensare a dei ben diversi e possibili scenari di liberazione e di più giusti assetti di società. | |
| | | Rodolfo Loffredo
Numero di messaggi : 34 Data d'iscrizione : 31.08.07
| Titolo: Anti-americanismo e... Sab Set 22 2007, 09:12 | |
| [Premessa. Cominciamo col dire che parlando di America, anche limitatamente all’accezione più diffusa che intende solo gli United STATES a stelle e strisce, il neofita del «nazionalitario» si vede proiettato nel campo più difficile. Saranno nazione tutti i 48 states in blocco o potrà essere nazione lo stato dell’Indiana (= che non è degli indiani di Alce Nero)? E le due Virginie, già yankee una e sudista l’altra, come la metteranno? Le nazioni nazionalitarie dovranno coincidere con la divisione Usa degli Stati americani,o no? Non ne sappiamo molto, siamo ’gnurant. Certo sono nazione i Lakota. Ma sono nazione i Cajuns della Louisiana? E gli Amish? Ed ancora: la «cosa» ipotizzata da Malcom X e giù giù fino ad Assata Shakur potremo considerarla ‘nazione’ o solo movimento/lotta di classe/ lotta di liberazione?] Detto questo, garbato Alekos 18: hai fatto bene a fermarti e darci la parola. Ti abbiamo visto preoccupatissimo che qualcuno non capisse cos’è America — ma chi mai se non i turisti al primo viaggio spaziale provenienti da altri sistemi solari? Alekos 18: oggi, nel 2007, la stragrande maggioranza delle persone — di destra e di sinistra — se dice «America» intende: A) SOLTANTO l’area geografica occupata dagli U.s.a. [e mentre parla pensa New York nel senso di Manhattan o poco più. Qualcuno a Boston, Seattle, San Francisco; molti ad Hollywood e Silicon Valley.] e B) per America intende quella entità (l’Impero, se vuoi, ed i suoi esperti) che decide — un anno prima dell’11 sett. —che «ci vuole una seconda Pearl Harbour per assicurarsi consenso pieno — e mano libera — dai cittadini americani». La maggior parte di quelli che ci pensiamo (inesattamente, ok, as you want!) antiamericani siamo “anti” quelli che hanno valutato utile — normale ragion di Stato — e deciso di istallare e brillare le microcariche in alcuni fabbricati-simbolo. Siamo contro quelli di cui parla la colonnina di copertina del n.22 di Indipendenza (che sottoscriviamo). Siamo contro quelli che col servo sciocco italiano bombardavano umanitariamente dall’alto per non scendere giù a sentire le ragioni e la puzza dei poveracci. Non siamo, stai tranquillo, contro il popolo americano; anche quello in sovrappeso per troppo nutrirsi, qualunquista ed a tratti nazistello. Sappiamo che i cittadini americani [= Usa] sono, tra i popoli del mondo ricco, i più eteromanovrati ed i meno «informati» dai loro media. Se hai un amico a NyNy e gli mandi un paio di dvd presi da RaiNews24 (= di M. Dinucci, o autoprodotti dai “nostri ragazzi” a Nassiriya) il newyorkese ti ringrazierà dicendo «da noi queste cose non si vedono». No, versus quelli non abbiamo nulla, come non abbiamo nulla contro gli americani alla Rosa Parks per capirci — ti venisse il dubbio! — , né contro i giovani leoni delle Harwards che con Rosa parks sono agli antipodi. Non odiamo nemmeno Walker Texas Ranger! Solo ci immedesimiamo fortemente con gli “arancionati” di Guantanamo e gli sconosciuti delle prigioni private Usa. Ci immedesimiamo con le masse che non hanno accesso alla sanità americana. Non siamo antiamericani nemmeno rispetto agli «americani per adesione e cooptazione» come quell’assassino che ci commosse tutti — prima guerra del Golfo — quando continuava a ripetere «my name is Cocciolone, my name is Cocciolone». Amiamo i bambini americani suddivisi per autobus scolastici per bianchi e per neri: non ci passa per mente di prendercela con loro. Non siamo antiamericani nemmeno quando, perplessi nell’anima, li sentiamo cantare «America, America»: un brivido alla schiena, nulla di più: ci sappiamo controllare. Qualche dubbio abbiamo sugli eredi di Sam Giankana e dei signori Kennedy loro soci; certo, Condoleeza ed Henry Kissinger, e Negroponte: “americani che sbagliano”. Siamo anti-americani nel senso di essere contro quella tal certa dottrina Usa di prendere a calci in faccia il mondo. Quella tal certa dottrina Usa che un tempo prevedeva ed attuava la distribuzione di coperte infettate al vaiolo agli indiani ed oggi manda le bombe che«tagliano le margherite», quelle che «ti inseguono nei cunicoli» mentre all’aria aperta fosforo bianco per tutti. È quella dottrina lì che ci trova “antiamericani”, dotto Alekos 18. E ci piace confondere Usa con Nato: inesattezza formale ma esercizio salutare. Non è una «definizione sistemica», è una cosa che ti viene di getto. Non «aderiamo fideisticamente» a nulla: sono le opinioni di ognuno. Produciamo critica, non «demonizziamo generalizzando». Sappiamo perfettamente che il borghese del socalo di Mexico D.F., e lo scalatore di barriere di Tihuana, e l’operaia della maquilladora non sono «America». Non sono «America» per noi incolti antiamericani nemmeno i canadesi anche se il loro governo ed il governo Usa hanno patti di acciaio che fanno paura. E possiamo assicurarti che non coinvolgeremo nel nostro antiamericanismo di destra né i pinguini di Capo Horn né le foche (foche?) di capo Jesup. Ciao, rodolfo | |
| | | alekos18
Numero di messaggi : 1117 Data d'iscrizione : 04.04.07
| Titolo: Re: Anti-americanismo o anti-imperialismo? Sab Set 22 2007, 17:48 | |
| Anti-americano: una cosa che ti viene di getto, dici. Sarebbe interessante interrogarsi su cosa origini questa cosa che (ti) viene di getto. Ti viene parimenti istintivo dirti anti-italiano, vista la presenza -come scrivi- anche del " servo sciocco italiano" che bombarda umanitariamente dall'alto al seguito delle guerre d'aggressione dell'alleato/padrone statunitense? O è la dicotomia (dualità) padrone / servo che ti induce a dirti di getto "anti-americano" ma non "anti-italiano"? Il linguaggio è importante. Non è qui, per me, un esercizio di sottigliezza linguistica o verbale. Si tratta proprio di non generalizzare o di equivocare. Scrivi: " Siamo anti-americani nel senso di essere contro quella tal certa dottrina Usa di prendere a calci in faccia il mondo". Mmhhh... " nel senso", dici. Eh sì, perché ci possono essere altri sensi, quindi. Ad esempio, quello di certo radicalismo di destra che si dice petto in fuori "anti-americano", ma con il lanternino (per non dire mai) a trovarlo coerentemente anti-imperialista o anti-imperiale, perché aumma aumma è tutto uno strizzare l'occhio ad un vagheggiar di Impero / imperialismo europeo. (Ti) chiedo: riusciamo a veicolare, esprimere delle idee senza che ci si debba attardare (o giustificare...) in precisazioni del tipo " nel senso di..."? Ricordo il concentrarsi a suo tempo, come api sul miele, di interessi (e di adesioni) da parte di individualità e di forze del radicalismo di destra attorno al "Manifesto anti-americanista" (curiosare sulla rete per...) ed i tanti " nel senso di..." che hanno poi messo in crisi politica i suoi promotori. Non è stato per una sottigliezza linguistica che ci siamo tenuti ben lontani dall'aderire a quel "Manifesto". Diversi i motivi. Per restare sulla questione che poni, certo, ci sono quindi effetti politici a partire dal linguaggio. Qualcosa (peraltro non da poco, a mio modo di vedere) lo esprimevo nel primo postato ai punti 4 e 5 proprio sul senso degli equivoci o dei cul de sac che può generare (ingenera) il concetto di "anti-americanismo". Rivedilo ed in caso riparliamone. - Rodolfo Loffredo ha scritto:
- [Premessa. Cominciamo col dire che parlando di America, anche limitatamente all’accezione più diffusa che intende solo gli United STATES a stelle e strisce, il neofita del «nazionalitario» si vede proiettato nel campo più difficile. Saranno nazione tutti i 48 states in blocco o potrà essere nazione lo stato dell’Indiana (= che non è degli indiani di Alce Nero)? E le due Virginie, già yankee una e sudista l’altra, come la metteranno? Le nazioni nazionalitarie dovranno coincidere con la divisione Usa degli Stati americani,o no? Non ne sappiamo molto, siamo ’gnurant. Certo sono nazione i Lakota. Ma sono nazione i Cajuns della Louisiana? E gli Amish? Ed ancora: la «cosa» ipotizzata da Malcom X e giù giù fino ad Assata Shakur potremo considerarla ‘nazione’ o solo movimento/lotta di classe/ lotta di liberazione?]
Una chiosa finale su questo secondo nodo da te sollevato. "Stato" è un concetto politico-giuridico. "Nazione" è un concetto culturale con inevitabile valenza e prospettiva politica. Quello che rilevi all'interno degli States è la sua articolazione federale, il che quindi non determina di per sé che ad ogni Stato corrisponda una nazione. Sarebbe interessante (forse necessario?) intervenire con uno studio storico, linguistico e culturale di merito anche sulle nazionalità presenti dentro gli Stati Uniti, che comunque è uno Stato che non si basa su un fondamento nazionale. Il tema sarebbe da approfondire. Attenzione, poi, a non confondere piani tra loro distinti. Gli Amish, ad esempio, sono una comunità religiosa, più precisamente cristiano protestante anabattista, non certo una nazione. Saluti | |
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| Titolo: Re: Anti-americanismo o anti-imperialismo? | |
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| | | | Anti-americanismo o anti-imperialismo? | |
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