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| Kosovo e Paesi Baschi | |
| | Autore | Messaggio |
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Razumichin
Numero di messaggi : 67 Data d'iscrizione : 05.05.07
| Titolo: Kosovo e Paesi Baschi Lun Feb 11 2008, 22:49 | |
| Ciao,
ho letto sul sito della rivista che lo stato spagnolo, tramite il giudice Garzon, ha fatto arrestare l'intero gruppo dirigente della sinistra patriottica basca, chiudendone le sedi, e decretando lo scioglimento di ogni partito che si richiama a quell'aerea politica. Il sacrosanto diritto all'autodeterminazione del popolo basco viene negato e aspramente combattuto, ma gli Stati Uniti e i suoi alleati subalterni, di contro, operano concretamente per l'indipendenza del Kosovo. E' del tutto evidente che non è il principio della sovranità nazionale a permeare la politica degli USA (altrimenti non si spiega perché il Kosovo sì e i Paesi Baschi no), ma gli interessi imperialisti in gioco. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensano i redattori di Indipendenza ed i forumisti. | |
| | | alekos18
Numero di messaggi : 1117 Data d'iscrizione : 04.04.07
| Titolo: Re: Kosovo e Paesi Baschi Sab Feb 23 2008, 01:26 | |
| Contraddizioni e strumentalità sono evidenti. Sul Kosovo la Casa Bianca ha spinto in modo sfacciato con l'arroganza di chi, (auto)investito da svariati anni dell'esercizio finora pressoché incontrastato al dominio geopolitico globale, fa e disfa a piacimento quel vuoto simulacro che è il cosiddetto diritto internazionale e la stessa ONU che vengono evocati, a corrente alternata, solo quando fa comodo. Così Washington decide chi dev'essere "indipendente" e chi no, quali Stati possono esistere e quali devono essere disfatti, quali sistemi politici rovesciare (con tutti i mezzi necessari) e quali no. Per chi tenta (Russia, Cina, Iran, Venezuela...) di sottrarsi alle ingerenze e controllo imperiali (e non tutti, necessariamente, per nobili ragioni, cioè per un antagonismo di prospettiva sociale e politica) il conflitto a più o meno bassa intensità è, a ben vedere, già cominciato da tempo. In questa congiuntura segnalo -e solo come indicatore dello stato coloniale in cui versa questo paese- le patetiche dichiarazioni del ministro degli esteri D'Alema che hanno motivato il riconoscimento del Kosovo in un condensato di parole di imbarazzo e servilismo in ossequio alla volontà politica del padrone d'oltre Oceano.
Per il Kosovo, però, baderei a non parlare di indipendenza, ma di un vero e proprio processo di costruzione di un protettorato per il quale gli Stati Uniti hanno lavorato da tempo. Un precostituito stato-mafia al cui interno non casualmente Washington ha già costruito la sua più grande base militare in Europa. Ritengo che questo sia un passaggio concettuale da sottolineare sempre quando si parla di situazioni come quella che si è prodotta nel Kosovo nella fase terminale che va dal 1999 ad oggi. I presupposti erano però stati gettati almeno a ridosso degli anni Novanta, complice di fatto un Milosevic che accetta di essere un esecutore dei dettami del Fondo Monetario Internazionale (FMI) che manda a carte quarantotto la costruzione precaria che pure aveva retto con Tito.
In quel periodo la Jugoslavia attraversava una gravissima crisi che risentiva direttamente, suo malgrado, degli effetti da onda lunga dell’implosione sovietica (1989-’91). La crisi dei pagamenti esteri rallenta fortemente la crescita. Di qui stagnazione, disoccupazione, diminuzione del potere di acquisto, negoziati più aspri tra le repubbliche per la suddivisione dei ridotti fondi disponibili, minano la credibilità delle autorità federali incapaci di far fronte a queste difficoltà. Il FMI, cui si rivolgono le autorità di Belgrado, come al solito vincola i prestiti all'adozione di ulteriori, precise misure. Dico "ulteriori" perché la linea di ristrutturazione macroeconomica imposta dai creditori esteri e adottata a varie riprese a partire dal 1980, avvita su se stessa, peggiorandola, la spirale in corso: la crescita in talune aree arriva quasi ad arrestarsi, per far posto alla lievitazione del debito estero e soprattutto al costo del suo servizio, al crollo degli investimenti, alla svalutazione, alla caduta del potere d’acquisto e del tenore di vita medio.
È un fatto che in Kosovo, la zona più povera di risorse e di infrastrutture di tutta la Federazione, le ripercussioni si facciano sentire più pesantemente che altrove. L’elemento essenziale, in questa fase, è che la crisi passa per linee etniche, nel senso che si contraggono fortemente i trasferimenti di fondi da Belgrado ai governi delle repubbliche e delle province autonome. Nel 1989 l’allora primo ministro jugoslavo Ante Markovic, criticato all’interno per le sue spiccate propensioni filoccidentali e filostatunitensi in particolare, contratta a Washington con Bush un “pacchetto di aiuti finanziari” che il FMI accorda sulla base dell’adozione di radicali riforme economiche fra cui la svalutazione della moneta, il blocco dei salari, i tagli alla spesa pubblica e l’abolizione delle aziende autogestite. I fondi e le entrate federali non dovevano più essere erogati alle repubbliche e alle province ma diretti al pagamento del servizio del debito. Il FMI arriva a controllare la stessa Banca centrale jugoslava. Il programma di austerità scatena scioperi massicci in tutto il paese che fanno il paio con l’acuirsi delle tensioni tra le regioni ricche (Slovenia, Croazia) e le altre. In questo quadro sarebbe interessante dettagliare il complesso di atti e di passaggi tecnici, che vede il FMI attento prima a menomare fortemente la capacità dello Stato federale di finanziare programmi economici e sociali, poi a sorvegliare e controllare questi indirizzi anche nelle repubbliche che di lì a poco, nel 1991, si separano dalla Federazione Jugoslava. Un ulteriore colpo viene inferto con l’embargo che l’ONU decreta nel 1992 nei confronti di quel che resta della Jugoslavia.
In Kosovo la crisi economica accelera quel processo costante di emigrazione (in atto già da molti anni) che non interessava solo la maggioritaria comunità albanese ma tutte quelle presenti, la serba inclusa che si ridimensiona anch’essa drasticamente in termini numerici, alla ricerca di opportunità migliori in zone più sviluppate della Federazione. I drastici tagli ai fondi federali, che erano sempre stati consistenti in Kosovo (dagli anni Cinquanta sino al 1980 il Kosovo beneficiava di massicci investimenti sino ad arrivare ad avere, negli anni Settanta, il 70% del proprio bilancio così finanziato), ebbero effetti devastanti nella già debilitata ed estremamente fragile struttura economica e sul precario assetto sociale di una regione che pagava anche la pessima gestione dei fondi da parte della sua classe politica.
Di fronte al dilagare della crisi economica e ai primi sintomi che preludono alla frantumazione della Jugoslavia, Belgrado reagisce duramente e, con decisione per taluni scellerata, abroga, nel 1989, una parte dell’autonomia (anche se formalmente tali emendamenti vengono ratificati dal parlamento autonomo che poi viene sciolto d’autorità nel luglio 1990). Provvedimenti successivi comportano l’occupazione e la chiusura dei media in lingua albanese, la sottrazione di gran parte delle opere della Biblioteca Nazionale, l’abolizione dei programmi di studio autonomi della provincia sostituiti con quelli predisposti da Belgrado, l’interruzione dell’insegnamento in lingua albanese. Tra scioperi e manifestazioni generali che mobilitano studenti, minatori, contadini già in corso nel triennio 1988/’90, si risponde con la repressione e l’adozione di ulteriori misure: chiusura di numerose aziende, confisca dei beni della Banca del Kosovo a favore della Jugobanka, adozione di un regolamento che impone alle aziende di assumere un serbo per ogni albanese assunto e, soprattutto, l’obbligo per i lavoratori a firmare una “lettera di fedeltà” alla Serbia e al Partito Socialista Serbo, pena il licenziamento peraltro già numerosi per la chiusura di un consistente numero di aziende in crisi.
Insomma, il caso-jugoslavo mostra come la sottovalutazione ed una cattiva relazione con la tematica nazionale sia foriera di esiti disastrosi. Le bombe della NATO in Kosovo, nel 1999, interverranno in un conflitto che aveva assunto connotati nazionali ma la cui origine rimanda a quanto sopra succintamente ricordato. C'entra indubbiamente anche il come Belgrado abbia risposto al precipitare della crisi e abbia deciso di relazionarsi con la componente albanese del Kosovo. Mi fermo intanto qui, ma vien da sé che ci sono nodi che si pongono (non specifici solo del contesto in questione) e ulteriori riflessioni più generali. A voi la parola. | |
| | | kamo
Numero di messaggi : 271 Data d'iscrizione : 10.05.07
| Titolo: Re: Kosovo e Paesi Baschi Mer Apr 16 2008, 08:42 | |
| Toglietemi una curiosità politica. Dei baschi mi è capitato di leggere e di sentir dire che beneficiano di una larga autonomia e che quindi la rivendicazione indipendentista non ha in fondo ragion d'essere se non per interessi largamente minoritari che vengono definiti mafiosi, criminali. Come stanno le cose? | |
| | | alekos18
Numero di messaggi : 1117 Data d'iscrizione : 04.04.07
| Titolo: Re: Kosovo e Paesi Baschi Gio Mag 01 2008, 17:36 | |
| - kamo ha scritto:
- Toglietemi una curiosità politica. Dei baschi mi è capitato di leggere e di sentir dire che beneficiano di una larga autonomia e che quindi la rivendicazione indipendentista non ha in fondo ragion d'essere se non per interessi largamente minoritari che vengono definiti mafiosi, criminali. Come stanno le cose?
Con termine approssimativo potrei dirti che la disinformazione sulla questione basca regna sovrana. Ho le mie ragioni per dirti che sovente mi imbatto, leggendo o ascoltando, in falsificazioni belle e buone. Questo avviene -e lo dico senza generalizzare, perché ci sono individualità e realtà non associabili- anche tra chi mostra, fa spocchia quindi, di sensibilità per il diritto di autodeterminazione e addirittura per percorsi nazionali di realistica liberazione sociale. Ci sono a mio avviso delle ragioni ideologiche per l'astio che chiaramente a destra, ma anche a sinistra, pure tra chi si definisce "comunista" o addirittura "antimperialista", si posiziona con tanta virulenza nei confronti degli abertzale, della sinistra patriottica basca. Ho delle convinzioni sui diversi perché, convinzioni maturate sulla base di una serie di considerazioni e prese d'atto, ma il discorso ci porterebbe lontano. Avremo prima o poi modo di affrontarlo. E' interessante ora questo punto della larga autonomia. Vi sarebbe un discorso a monte da fare, di natura se vogliamo "teorica", sulla diversità tra autonomia e indipendenza, alla luce di una legittima aspirazione effettiva di sovranità. La questione si porta appresso una serie di aspetti da sviscerare, in cui la "teoria" necessariamente si lega a questioni "pratiche", di ricaduta cioè anche storica e (geo)politica. Tutto questo è già oggetto di interventi sulla rivista cartacea ("Indipendenza", appunto). Qui ora importa estrapolare dai numeri, vedere come i numeri, se ben letti e ben collegati, finiscano con il riflettere realtà ben diverse da quel che appare. In tal senso è necessario andare al cuore della questione, cioè spulciare nei preventivi di bilancio e nelle "finanziarie" regionali basche e dello Stato spagnolo. Breve premessa: la "Comunità Autonoma del Paese Basco" (CAPV) gode di autonomia e appunto per questo si vede sottratte delle competenze "sovraniste" che sarebbero decisive e che gestisce Madrid. Al riguardo, Madrid si relaziona con le varie realtà "autonomiche" facendo loro pagare una quota delle spese delle competenze non trasferite. Sarebbe interessantissimo uno studiolo sistematico delle "finanziarie" degli ultimi anni, perché emergerebbero dei dati politici molto significativi. Mi limito qui all'ultima legge approvata per calcolare gli obblighi contributivi baschi per le spese che Madrid sostiene per il disimpegno delle competenze non trasferite alle varie regioni e province che godono dell' autonomia. E' stato valutato che per la CAPV, sulla base proprio di quest'ultima legge, l'ammontare contributivo si attesta a più del 45,5% del preventivo generale finanziario dello Stato spagnolo. In base ai calcoli, ai territori di Araba, Bizkaia e Gipuzkoa (CAPV) è attribuito il 6,24% di queste spese (5.738.140,6 euro), un indice di imputazione che si calcola in funzione della rendita della CAPV in relazione con quella dello Stato spagnolo. Per il 2008 quindi, nella "finanziaria" spagnola, questa quota (5.738 milioni di euro) deve essere versata dal governo autonomico basco per le spese non contemplate nel preventivo della CAPV, perché di pertinenza di Madrid. Si tratta di un ammontare molto considerevole se lo si confronta con il preventivo dell'amministrazione della CAPV per il 2008, preventivo che è di 9.939,7 milioni di euro. Ora, se si estrapolano dati globali relativi ad esempio all'Ertzaintza (la polizia basca), risulta che ad essa è destinato un totale di 10.189 milioni di euro, una cifra di gran lunga superiore ai 7.565,4 milioni che il governo del PSOE (i 'socialisti' di Zapatero) destina al ministero degli Interni (Polizia, Guardia Civil e Istituzioni Penitenziarie). Questo dato è rivelatore del carattere repressivo e poliziesco del regime vigente nei Paesi Baschi. Nel caso della Navarra (in basco Nafarroa), comunità autonoma e provincia della Spagna distinta dalla CAPV, recentemente si è arrivato ad un nuovo accordo sul metodo di calcolo dell'apporto fiscale della provincia. Fatti i conti, la popolazione navarra dovrà contribuire al finanziamento dei carichi generali dello Stato per un importo stimato sui 1499,7 milioni di euro. Facendo le somme, i cittadini e le cittadine di Euskal Herria (CAPV + Nafarroa) sotto dominazione spagnola (non si considerano qui, ovviamente, i baschi sotto dominazione francese) saranno obbligati a contribuire, nel 2008, per circa 7.238 milioni di euro, per i carichi delle competenze esercitate dallo Stato. Queste voci di spesa non appaiono nei preventivi autonomici, ma nei Preventivi Generali dello Stato ed è Madrid che poi decide della destinazione e del quantum, senza che i parlamentari di Gasteiz e di Iruñea (i parlamenti autonomici baschi della CAPV e di Nafarroa) abbiano capacità alcuna di decisione sui medesimi. Una gran parte di queste risorse economiche, a voler completare il quadro, è utilizzata per finanziare gli apparati repressivi dello Stato spagnolo ed istituzioni tanto poco democratiche come la Casa Reale o l'Esercito spagnolo. Ovviamente ad essere penalizzate per garantire questi esborsi, sono quelle spese per un livello di protezione sociale degno e capace di garantire effettivi diritti di base, come l'accesso all'abitazione. Proseguendo nella disamina delle varie voci, il dato complessivo, che emerge, è l'inesistenza di un' autentica autonomia fiscale e preventiva, sono gli stretti margini di capacità delle competenze dell'attuale quadro autonomico e l'orientamento neoliberale cui si adeguano i governi della CAPV e di Nafarroa. Non a caso, sostengono gli abertzale, è con tutto questo quadro sistemico che bisogna farla finita per un ben diverso tipo di società. Spero di averti messo qualche pulce nell'orecchio. Il tema, ripeto, andrebbe sviscerato ancora meglio con ulteriori dati. A presto | |
| | | Due Sicilie
Numero di messaggi : 29 Localisation : Due Sicilie Data d'iscrizione : 12.05.07
| Titolo: Come, anche conoscendo i fatti, si manipola la realtà Sab Ago 02 2008, 19:08 | |
| Alekos 18 pare conoscere abbastanza bene gli eventi (almeno quelli recenti) che hanno portato alla crisi kosovara , eppure non può impedirsi di arrivare a conclusioni, in contrasto con i fatti che lui stesso cita. In particolare si fa sembrare che la repressione serba in Kosova (che comunque ritiene "cattiva") sia dovuta a puri fattori economici, assumendo una connotazione "nazionale" solo successivamente. Eppure i fatti che lui stesso riporta sembrano essere - fin dall'inizio - di tipo nazionale e non legati al fatto che la popolazione albanese della Kosova costituisca la parte piú povera della popolazione (una parte povera che costituisce piú del 90% della popolazione, tra l'altro, fatto che dovrebbe essere spiegato, direi). La realtà è che la questione albanese sorge al momento della dissoluzione dell'Impero Ottomano (1912) quando i serbi riescono ad ottenere ampi territori - a maggioranza albanese - grazie all'interecessione delle potenze dell'epoca (insomma la Serbia si prende le terre albanesi grazie all'appoggio degli americani dell'epoca, cioè inglesi, francesi e austriaci, senza grandi proteste). C'è una letteratura enorme sull'argomento e ignorarla del tutto, per far finta che sia solo un problema di imperialismo americano nasconde una buona parte della verità, se non quasi tutta. Del resto questo è quello che succede quando si parte dalla teoria preferita e si adattano i fatti (o una parte di essi) a sostegno. Insomma gli albanesi in Kosova stavano benissimo e solo le politiche del FMI, il "cattivo" Milosevic, nonché l'improvvisa necessità degli USA di avere un protettorato nei Balcani, li hanno separati dai serbi... sicuramente una bella versione per chi crede nelle favole... | |
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| Titolo: Re: Kosovo e Paesi Baschi | |
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