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 Contestazioni al Papa all'università di Roma e religione

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kamo

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MessaggioTitolo: Contestazioni al Papa all'università di Roma e religione   Contestazioni al Papa all'università di Roma e religione Icon_minitimeSab Gen 26 2008, 16:24

Potrei sapere cosa ne pensate, voi tutti, delle contestazioni che ci sono state al Papa? Mi riferisco all'invito a partecipare all'università di Roma all'inaugurazione dell'anno accademico. Mi interesserebbe conoscere la vostra posizione. Mi incuriosisce anche sapere come vedete, da nazionalitari, la questione della fede religiosa e come legate, se lo legate, il discorso che fate dell'indipendenza nazionale e dell'emancipazione dal capitalismo con la questione cattolica in questo paese. Sono argomenti molto impegnativi e non so se si possono affrontare su un forum. Però mi sembrano questioni importanti. Grazie
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alekos18

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MessaggioTitolo: Re: Contestazioni al Papa all'università di Roma e religione   Contestazioni al Papa all'università di Roma e religione Icon_minitimeDom Gen 27 2008, 17:46

kamo ha scritto:
Potrei sapere cosa ne pensate, voi tutti, delle contestazioni che ci sono state al Papa? Mi riferisco all'invito a partecipare all'università di Roma all'inaugurazione dell'anno accademico. Mi interesserebbe conoscere la vostra posizione. Mi incuriosisce anche sapere come vedete, da nazionalitari, la questione della fede religiosa e come legate, se lo legate, il discorso che fate dell'indipendenza nazionale e dell'emancipazione dal capitalismo con la questione cattolica in questo paese. Sono argomenti molto impegnativi e non so se si possono affrontare su un forum. Però mi sembrano questioni importanti. Grazie

Le questioni che poni sono di quelle che si formulano in poche parole, ma ne richiedono molte di più per rispondere. Non è in sé un problema comunque. Esordirei dicendo che l'invito al Papa a recarsi all'università di Roma, le proteste che questo ha determinato e la successiva rinuncia della Santa Sede, sono atti di una vicenda importante, ma alla fin fine non seria. Dicendo questo mi riferisco non solo al semplicismo, alla disinformazione e alla manipolazione che l'hanno fatta da padrone e su cui è anche opportuno spendere due parole, ma al fatto che a mio avviso è su altri piani, praticamente oscurati, che sarebbe (stato) significativo e sensato aprire una riflessione. Il rischio altrimenti è quello di finire con lo schierarsi o nel partito dei clericali o in quello degli anti-clericali, in una sorta di stantia riproposizione di contrapposizioni svuotate di contenuto e anche banalizzate. Secondo me è dai nodi essenziali della presente (e perdurante già da un po') epoca che si dovrebbe partire, per poi procedere verso un'essenzialità delle questioni che attengono all'esistenza e alla vita, degli individui e delle collettività. E' in termini e su piani assolutamente differenti che sarebbe allora sensato, secondo me, un confronto tra credenti (in diverse fedi peraltro), agnostici, atei e quant'altro.

Riprendo i non casuali termini che ho evocato all'inizio (semplicismo, disinformazione e manipolazione), precisando che di questo a mio avviso si tratta -e solo come iniziale approssimazione- per definire il modo sconcertante in cui è stata ridotta l'essenza della questione. La lettera di un professore dell’università, sottoscritta poi anche da altri docenti, che dissente sulla decisione presa dal suo rettore di invitare il Papa il giorno dell'inaugurazione dell'anno accademico e dissente spiegando il perché, un perché che si può anche non condividere, è stata fatta passare, unitamente al legittimo diritto di manifestare esercitato da alcuni studenti universitari, come espressione di intolleranza, di censura e di violenza. La presunta offesa alla libertà di pensiero, la censura di cui sarebbe stato vittima il Papa, è ridicola prima ancora che esagerata. Viviamo in un paese in cui il Papa e le gerarchie ecclesiastiche hanno a disposizione tali e tanti spazi e megafoni, a partire dalle tv di Stato, maggiori in questo stesso paese di quelli dello stesso presidente del consiglio o del presidente della repubblica (prescindendo da valutazioni su figure di merito e ruoli, ovviamente). La cosa è talmente evidente ed inconfutabile che mi pare superfluo spendere altre parole. Perplessità e sconcerto aumentano, dal mio punto di vista, se si osservano dei passaggi della vicenda. L'università "la Sapienza" di Roma invita a ottobre il Papa per una lectio magistralis il giorno dell’inaugurazione dell’anno accademico. Inizialmente il tema è incentrato sulla pena di morte. E' vero che il Vaticano ha abolito la pena di morte dalla sua Legge Fondamentale (il corrispettivo di una Costituzione) nel febbraio 2001, che, pur non più applicata dal 9 luglio 1870, data dell'ultima esecuzione capitale sotto il papato di Pio IX, è stata mantenuta ["non (la, ndr) esclude"], pur con affermazioni moderanti inserite di recente, nel Catechismo della Chiesa Cattolica (cfr. trattazione sul quinto comandamento, "Non uccidere", al sottotitolo che tratta della legittima difesa n. 2267). E' vero, quindi, che il Vaticano è divenuto abolizionista molto di recente. Peraltro gli abolizionisti rimproverano a questo Papa di aver finora mancato molte occasioni ben più importanti ed utili per esprimersi al riguardo, come ad esempio la Marcia di Pasqua (2007), a San Pietro, per la moratoria ONU (atteggiamento ben diverso lo ebbe, va detto, il suo predecessore, in occasione delle varie marce organizzate in tema). Ciononostante colpiscono due cose: la circostanza, che ha un suo significato simbolico (e anche la Chiesa è molto attenta, per sua stessa natura, ai simboli e alla loro valenza), e il perché. Perché invitare il Papa, proprio il giorno dell'inaugurazione dell'anno accademico, a dire la sua su un tema del genere, importante e delicato (quando non lo ha sinora fatto in modo significativo dal suo pulpito), e per giunta in un luogo deputato (teoricamente, s'intende) all'apertura di spazi critici e alla discussione per tesi differenti e contrastanti? Sarebbe stato opportuno far aprire le lezioni di un centro di cultura pubblica e “laica”, qual è la più grande università italiana, all’autorità più rappresentativa della Chiesa? Per quale motivo? Per quali finalità? E' pensabile ad un Papa solo testimonial di un evento di cui sarebbe passata, attraverso i canali massmediatici, la notizia in sé della sua presenza, o è anche pensabile che il suo monologo all'università, non sottoposto quindi a discussione nella stessa sede e momento, avrebbe potuto scivolare facilissimamente dal tema della pena di morte, comminata da certi Stati, al tema dell'aborto o degli scienziati che utilizzano cellule staminali: “non si può pensare che una società possa combattere efficacemente il crimine, quando essa stessa legalizza il delitto nell’ambito della vita nascente” (cfr. http://www.ratzingerbenedettoxvi.com/udprovita.htm). Dico questo riconoscendo la delicatezza di questi temi, specie l'ultimo, proprio in termini di riflessione, di presa di posizione. Il tema poi viene cambiato. Il Papa avrebbe tenuto un discorso incentrato sul rapporto tra Verità, Fede e Ragione (cfr. http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2008/january/documents/hf_ben-xvi_spe_20080117_la-sapienza_it.html), dai contenuti molto interessanti, che invito a leggere. Da discutere appunto, non da trasmettere nella forma di un monologo, in un'università.

Nel novembre scorso 67 professori scrivono al rettore (la cosiddetta "lettera Cini") contestando la decisione di invitare Ratzinger. Lo fanno in modo obiettivamente sommesso, senza cercare clamori mediatici, scrivendo al loro rettore, non al Vaticano o al Papa. Ha stupito gli stessi firmatari che questa lettera, scritta due mesi prima, sia poi ricomparsa proprio alla vigilia della visita. Il fatto che un Papa sia chiamato a parlare nella cornice di un evento molto particolare, quale quello dell'inaugurazione dell'anno accademico, è obiettivamente un fatto altamente simbolico, conseguentemente notiziabile ed è scontato e comprensibile che determini dissensi e proteste. Buon gusto avrebbe dovuto indurre, se proprio si aveva a cuore aprire un dibattito su un qualche tema con il Papa o chi per lui, pensare ad un contesto e a date adeguate e prevedendo una pluralità di validi interlocutori, quantomeno un contraddittorio. Il rettore Guarino, però, lo stesso che curiosamente in queste settimane è investito dallo scandalo di "parentopoli" che coinvolge diversi atenei italiani (lui personalmente è indagato per l'assegnazione di tre incarichi di ricercatore alle due figlie e ad uno dei generi), mantiene l'invito. Non so, la butto così, ma la sua ostinazione ha forse qualcosa a che vedere con le sue vicende personali, con la volontà di compiacere figure, istituzioni o poteri accendendo consapevolmente o meno i riflettori su un caso e anche su se stesso? Lo pongo come interrogativo. Certo, avverto forte la sensazione che si sia cercato di creare un caso. Gli ingredienti c'erano tutti. Tra l'altro facendo parlare un Papa che su una serie di questioni ha mischiato, è il caso di dirlo, il sacro con il profano. Penso, tra i tanti riferimenti possibili, ai suoi pronunciamenti, in altrettanti discorsi, edulcorati nella forma attraverso citazioni di altri, su Maometto e Galilei. Non c'è lo spazio per entrare su questi due aspetti, ma chi ha letto e seguito, ricorderà i termini delle questioni e converrà come fosse labile, per non dire inesistente, il confine tra il religioso ed il politico. Il che non significa ovviamente che il Papa non sia libero di esprimersi come meglio ritiene.

Quel che è seguito alla decisione della Santa Sede (comprensibile e alla fine fine direi opportunisticamente più vantaggiosa) di non presenziare all'evento, a mio avviso ha strabordato i termini. Si possono muovere critiche al contenuto della lettera dei professori universitari, ma a mio avviso è un atto elementare -scrivere una lettera- di espressione legittima del dissenso. Si possono discutere accenti e termini con cui gli studenti hanno caratterizzato i sit-in all'università, ma anche qui, al di là di un'analoga legittimità di espressione di pensiero, non si è registrato niente di trascendentale che sarebbe stato peraltro stigmatizzato immediatamente già a partire da certi media. La loro intenzione di caratterizzare la protesta con cartelli e striscioni, una mensa all'aperto, l'ipotesi di un concerto, sono tutti elementi che chiariscono la natura pacifica (forse chiassosa...) della mobilitazione. Lo stesso ministro degli Interni Amato, che non ha esitato, nel recente passato, a sollevare polveroni per creare tensioni e scoraggiare alla partecipazione in occasione di assolutamente non ben viste manifestazioni (a Vicenza contro la base USA o la visita -sgradita- di Bush a Roma lo scorso giugno), non ha esitato ad escludere il rischio di incidenti dentro l'università (peraltro blindatissima) per la presenza del Papa. Con rispetto faccio notare che questo Papa, nonostante minacce ricevute, si è recato di recente in Turchia. Perché lasciarsi irretire da un centinaio di studenti vivaci e chiassosi, ma nulla più? Il suo predecessore, Giovanni Paolo II, il 19 aprile 1991 si recò alla “Sapienza”, in occasione del 688° anniversario della fondazione del primo ateneo romano, invitato dall’allora rettore Giorgio Tecce. Presenziò ad un incontro tra università dell’est e dell’ovest (l’Unione Sovietica non aveva ancora cessato di esistere). Ci andò nonostante (si) sapesse delle contestazioni della “Pantera” (il movimento studentesco che aveva occupato per tutto il 1990 diverse facoltà ed atenei in tutti Italia come non si ricordava dal 1968) in un clima molto più caldo, se vogliamo proprio dire così, rispetto ad oggi. Le contestazioni ci furono, ma nessun incidente. La rinuncia volontaria della Santa Sede a che il Papa presenziasse lo ha trasformato in una vittima di non si capisce bene chi o cosa. Capisco che il Papa sia abituato ai tappeti rossi e ad un pubblico adorante che sventola fazzoletti gialli, e applaude qualunque cosa dica, però se uno decide di intervenire sul terreno religioso senza disdegnare, anzi, ricercando risvolti e ricadute (assolutamente non marginali) di natura culturale e politica, in un luogo -l'università- deputato per eccellenza (teoricamente) alla discussione, ci si può aspettare che si esprima e si manifesti il dissenso ancor più se non si dà modo a voci altre di esprimersi con la stessa rilevanza di cui gode il Papa.

E' stata un'operazione intelligente e lungimirante quella degli studenti? La cosa a mio avviso è discutibile, perché non ci vuole grande lungimiranza per capire che una protesta anche pacifica, come è stata la loro, sarebbe stata rovesciata e strumentalizzata quale atto censorio. Di per sé, per partito preso. Pare che solo il silenzio e l'in-azione mettano al riparo da questo tipo di accusa quando si toccano certi poteri, certe figure, certi temi. E, questo, ben al di là della vicenda del Papa. Ciò detto, se restano discutibili le modalità politiche anche di comunicazione degli studenti, più che altro riflettendo sul fatto che non sarebbe stato difficile immaginare quanto poi è seguito, mi pare un segno dei tempi in questo paese mettere in discussione la possibilità di manifestare democraticamente. Con il che, Kamo, chiudo questa parte (ho cercato di essere sintetico, ma le cose da dire erano tante) per investire piuttosto un altro piano di riflessione che scompagina, dal mio punto di vista, questa rigida contrapposizione credenti / atei. Proseguirò in successivi postati. A presto e grazie per gli stimoli che mi hai dato.
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sankara

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MessaggioTitolo: Re: Contestazioni al Papa all'università di Roma e religione   Contestazioni al Papa all'università di Roma e religione Icon_minitimeVen Feb 08 2008, 03:22

alekos18 ha scritto:
Certo, avverto forte la sensazione che si sia cercato di creare un caso. Gli ingredienti c'erano tutti. Tra l'altro facendo parlare un Papa che su una serie di questioni ha mischiato, è il caso di dirlo, il sacro con il profano. Penso, tra i tanti riferimenti possibili, ai suoi pronunciamenti, in altrettanti discorsi, edulcorati nella forma attraverso citazioni di altri, su Maometto e Galilei.

Posso chiederti di entrare più nel merito? In particolare su quei passaggi di Ratzinger che hanno creato polemiche? Il primo, su Galilei, è contenuto ne "La crisi della fede nella scienza" (Parma, 15 marzo 1990) e lo posto per intero. Per comodità evidenzio ciò che ti chiedo con il sottolineato. Per non abusare dello spazio, del secondo, su Maometto, riporto la parte che ha alimentato il risentimento di molti credenti islamici (qui lo scritto completo: http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/88645). Aspetto sempre, poi, di leggere il seguito delle tue riflessioni, come scrivevi. Interessano anche me, ovviamente.


"Nell'ultimo decennio, la resistenza della creazione a farsi manipolare dall'uomo si è manifestata come elemento di novità nella situazione culturale complessiva. La domanda circa i limiti della scienza e i criteri cui essa deve attenersi si è fatta inevitabile.

Particolarmente significativo di tale cambiamento del clima intellettuale mi sembra il diverso modo con cui si giudica il caso Galileo.
Questo fatto, ancora poco considerato nel XVII secolo, venne -già nel secolo successivo- elevato a mito dell'illuminismo. Galileo appare come vittima di quell'oscurantismo medievale che permane nella Chiesa. Bene e male sono separati con un taglio netto. Da una parte troviamo l'Inquisizione: il potere che incarna la superstizione, l'avversario della libertà e della conoscenza. Dall'altra la scienza della natura, rappresentata da Galileo; ecco la forza del progresso e della liberazione dell'uomo dalle catene dell'ignoranza che lo mantengono impotente di fronte alla natura. La stella della Modernità brilla nella notte buia dell'oscuro Medioevo.

Secondo Bloch, il sistema eliocentrico -così come quello geocentrico- si fonda su presupposti indimostrabili. Tra questi, rivestirebbe un ruolo di primo piano l'affermazione dell'esistenza di uno spazio assoluto; opzione che tuttavia è stata poi cancellata dalla teoria della relatività. Egli scrive testualmente: «Dal momento che, con l'abolizione del presupposto di uno spazio vuoto e immobile, non si produce più alcun movimento verso di esso, ma soltanto un movimento relativo dei corpi tra loro, e poiché la misurazione di tale moto dipende dalla scelta del corpo assunto come punto di riferimento, così -qualora la complessità dei calcoli risultanti non rendesse impraticabile l'ipotesi- adesso come allora si potrebbe supporre la terra fissa e il sole mobile».
Curiosamente fu proprio Ernst Bloch, con il suo marxismo romantico, uno dei primi ad opporsi apertamente a tale mito, offrendo una nuova interpretazione dell'accaduto.
Il vantaggio del sistema eliocentrico rispetto a quello geocentrico non consiste perciò in una maggior corrispondenza alla verità oggettiva, ma soltanto nel fatto che ci offre una maggiore facilità di calcolo. Fin qui, Bloch espone solo una concezione moderna della scienza naturale. Sorprendente è invece la valutazione che egli ne trae:
«Una volta data per certa la relatività del movimento, un antico sistema di riferimento umano e cristiano non ha alcun diritto di interferire nei calcoli astronomici e nella loro semplificazione eliocentrica; tuttavia, esso ha il diritto di restar fedele al proprio metodo di preservare la terra in relazione alla dignità umana e di ordinare il mondo intorno a quanto accadrà e a quanto è accaduto nel mondo».

Se qui entrambe le sfere di conoscenza vengono ancora chiaramente differenziate fra loro sotto il profilo metodologico, riconoscendone sia i limiti che i rispettivi diritti, molto più drastico appare invece un giudizio sintetico del filosofo agnostico-scettico P. Feyerabend. Egli scrive:
«La Chiesa dell'epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione».

Dal punto di vista delle conseguenze concrete della svolta galileiana, infine, C. F. Von Weizsacker fa ancora un passo avanti, quando vede una «via direttissima» che conduce da Galileo alla bomba atomica.
Con mia grande sorpresa, in una recente intervista sul caso Galileo non mi è stata posta una domanda del tipo: «Perché la Chiesa ha preteso di ostacolare lo sviluppo delle scienze naturali?», ma esattamente quella opposta, cioè: «Perché la Chiesa non ha preso una posizione più chiara contro i disastri che dovevano necessariamente accadere, una volta che Galileo aprì il vaso di Pandora?».
Sarebbe assurdo costruire sulla base di queste affermazioni una frettolosa apologetica. La fede non cresce a partire dal risentimento e dal rifiuto della razionalità, ma dalla sua fondamentale affermazione e dalla sua inscrizione in una ragionevolezza più grande.
Qui ho voluto ricordare un caso sintomatico che evidenzia fino a che punto il dubbio della modernità su se stessa abbia attinto oggi la scienza e la tecnica".

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La Controversia con l'Islam sulla lezione di Ratisbona di papa Benedetto XVI è sorta a seguito della citazione di un testo dell'imperatore bizantino Manuele II Paleologo, scritto probabilmente tra il 1394 e il 1402 mentre l'imperatore era assediato a Costantinopoli dagli Ottomani, a proposito della guerra santa, nell'ambito della Lectio magistralis di Papa Benedetto XVI su "Fede, ragione e università" tenuta il 12 settembre 2006 durante il suo viaggio in Baviera.

La citazione è presa dal discorso pronunciato dal papa.

« Nel settimo colloquio (controversia) edito dal prof. Khoury, l'imperatore tocca il tema della jihad, della guerra santa. (...) egli, in modo sorprendentemente brusco, brusco al punto da stupirci, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava". L'imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. "Dio non si compiace del sangue - egli dice -, non agire secondo ragione, è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell'anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un'anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte". »
(Benedetto XVI)
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alekos18

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MessaggioTitolo: Re: Contestazioni al Papa all'università di Roma e religione   Contestazioni al Papa all'università di Roma e religione Icon_minitimeSab Feb 09 2008, 03:55

Hai fatto bene, Sankara, a precisare le fonti dei due discorsi di Ratzinger per chiunque voglia leggerli nella loro integralità. Personalmente li avevo già letti a suo tempo. Entrambi sono interni e parte di una serie di interventi non casuali del Papa sul rapporto tra "fede e ragione". Aggiungo che trovo interessanti le argomentazioni di Ratzinger, perché a mio avviso pongono un terreno di confronto in cui 'pro-vocare' (nel senso latino di chiamare in avanti) i credenti cattolici/cristiani a misurarsi con le conseguenze anche sociali dei loro valori (il tema della vita, ad esempio, investe anche condizioni e problematiche più generali della quotidianità sociale e della struttura produttiva dominante fino al nodo della "guerra infinita" scatenata dall'Impero a stelle e strisce) e allo stesso tempo colpire gli aspetti del fideismo scientista che si rivela di fatto un volàno decisivo delle spinte onnivore e devastanti del capitalismo (di fase) iperliberista. Il che si collega con quanto mi riservavo di scrivere e che mi ricordi, e che concerne la necessità di superare la (attualmente) fuorviante contrapposizione tra credenti / atei, non per negare o svilire il rilievo di aspetti anche importanti del contenzioso dialettico che li contraddistingue, ma piuttosto per riposizionare nodi e problematiche alla luce del dominante legame sociale capitalistico e ai suoi effetti dissolutori su entrambe le sponde di questo antagonismo non più centrale, a mio avviso. Ovviamente Ratzinger, da cardinale prima e da Papa adesso, persegue finalità magistrali proprie. Normale. Non c'è da stracciarsi le vesti ed urlare alla lesa maestà per questo. Riprendendo un'espressione dal linguaggio comune, ognuno fa il suo mestiere. E, con rispetto parlando, il Papa fa il suo. I passaggi su Galilei e Maometto si inscrivono come diramazioni del tema di fondo del rapporto tra "fede e ragione".

Mi chiedi un parere e te lo dò. Dico subito che ho troppa stima dell'intelligenza di questo Papa per pensare ad un ricorso da sprovveduto a citazioni forti per il loro contenuto. Con abilità dialettica Ratzinger ha in seguito precisato, dopo la comprensibile (e immaginabile...) indignazione del mondo musulmano, che la frase su Maometto non esprimeva la sua "valutazione personale". Ora rilevo telegraficamente questo. Innanzitutto le citazioni non sono mai neutre nel momento in cui si enunciano. In secondo luogo non capisco il perché. Se il fine è affermare il principio che la fede non s'impone con la violenza, ma che questa è "frutto dell'anima" e ha bisogno "della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente", perché giocare con una citazione che alimenta il battage ideologico dominante della (presunta) aggressività della fede islamica? Perché non bacchettare in casa propria, nella propria storia anche recente (ricordando le contiguità della Chiesa con i Pinochet dell'America latina, ad esempio), il fatto che la Fede della Chiesa si è spesso, troppo spesso, alleata con gli oppressori nel negare le Ragioni degli oppressi, dei dominati? Il mio primo pensiero va alla condanna in America latina, da parte della Chiesa cattolica, della “Teologia della liberazione”, colpevole di aver voluto coerentemente e concretamente dare seguito e spessore ai valori di emancipazione sociale e politica presenti nel messaggio cristiano. E' un primo pensiero, ma già me ne vengono altri. Soprassiedo per carità... di spazio. Insomma, nel caso della citazione su Maometto, Ratzinger mi pare non abbia colto il senso del detto evangelico di non guardare la pagliuzza nell'occhio di un altro, quando si ha una trave nel proprio. E' pensabile ad una svista colossale? La citazione è talmente particolare e dotta da darmi l'impressione di non essere stata assunta casualmente. Poi vale quel che si dice in gergo giornalistico, e cioè che la smentita di una notizia è ribadirla una seconda volta.

Su Galilei l'operazione è analoga. Citare fonti lontane da sé, dal proprio ambito ideologico (teologico) di riferimento, come forma di avallo. Del passaggio che sottolinei mi colpiscono svariate cose. Innanzitutto il ribadire come "razionale e giusta" la sentenza contro Galileo. L'operazione è come prima. Si cita qualcuno, lontano ideologicamente (teologicamente) da sé, per dire senza compromettersi in prima persona e lasciar passare il messaggio del beh, (se) l'ha detto lui. Qui però rilevo un'esposizione di Ratzinger più decisa rispetto alla questione su Maometto. Nota questo passaggio della citazione («La Chiesa dell'epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione») e, poche righe dopo, non più la citazione, ma Ratzinger in significativa conclusione: «Sarebbe assurdo costruire sulla base di queste affermazioni una frettolosa apologetica. La fede non cresce a partire dal risentimento e dal rifiuto della razionalità, ma dalla sua fondamentale affermazione e dalla sua inscrizione in una ragionevolezza più grande (sottolineatura mia, ndc)». Mi colpisce perché si avallano "razionalità" e "giustezza" della condanna di Galileo in nome di una "ragionevolezza più grande" avocata per fede al Dio rappresentato in terra dal Papa. Molto maliziosa poi, per dire eufemisticamente, il riecheggiare, sempre citando altri è chiaro, la "via direttissima da Galileo alla bomba atomica" e ancora, sempre con citazione anonima stavolta sotto forma di quesito, il responsabilizzare Galileo di aver aperto "il vaso di Pandora".
Non si tratta di schierarsi per questo nel fronte del credo scientista. Dagli OGM agli inceneritori, eccetera, gli argomenti non mancano per interrogarsi ed aprire una discussione sul senso della cosiddetta “scienza” odierna, che andrebbe reindirizzata dal perseguimento di interessi privatistici al soddisfacimento di finalità di interesse collettivo attente ad una serie di impatti (non solo ambientali), il che, lo sai bene Sankara, necessita di un contesto di sovranità per concretarsi. Sarebbe interessante sentire cosa ne pensano gli altri forumisti. Quanto al prosieguo del discorso del mio precedente postato che mi ricordi, tranquillo che non ho dimenticato. E' che il da fare politico e personale non manca... Ciao
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