Due righe sulla manifestazione di ieri (9 giugno). Innanzitutto il dato politico della grossa partecipazione (decine e decine di migliaia) a fronte del fallimento (qualche centinaio di persone) dell'altra manifestazione della cosiddetta "sinistra radicale istituzionale". Significativa la dichiarazione di Diliberto (Partito dei Comunisti Italiani) che partecipava al naufragio politico di piazza del Popolo e che ha dichiarato di non aver partecipato al corteo perché non è un "comunista stupido". Lui ha detto di essere contro la politica di Bush, ma di non poter anche manifestare contro un governo di cui fa parte. Ormai la sfacciataggine del ceto politico indistintamente di destra, di sinistra, di centro non ha limiti. Il governo Prodi è allineato con la politica estera di Bush (se vogliamo dirla così, personalizzando...) ed i crediti di guerra (anche) sull'Afghanistan votati da questo governo, PdCI di Diliberto incluso, la dicono lunga. A parte che chi ha visto le immagini, trasmesse in tutte le salse nei vari tg, dell'incontro con Napolitano (presidente della Repubblica) e Prodi (capo del governo), se ha prestato attenzione non avrà potuto non notare negli atteggiamenti, nei gesti e nelle parole di Bush un presentarsi da imperatore a fronte di valvassini di medievale memoria, Prodi ha fatto sue le direttive dell'amministrazione statunitense non solo per l'Afghanistan (su cui il 'governo' italiano ha già provveduto pochissime settimane fa a rafforzare il proprio contingente ascaro alle dipendenze del Comando USA), ma ha anche accolto ("credo che in futuro possiamo cooperare assieme per una pressione condivisa sul governo iraniano") il nuovo fronte conflittuale che a Washington stanno preparando da tempo. Le dichiarazioni di Bush sul governo "amico" di Prodi valgono più delle acrobazie verbali che, in Diliberto (lasciamo perdere gli altri tristi caporioni di piazza del Popolo che non sono da meno di Diliberto...) non si sono fermate nemmeno davanti ad un talmente evidente senso del ridicolo.
Due parole sull'altra manifestazione, sul corteo. Grandiosa la partecipazione, a fronte delle dichiarazioni intimidatorie anche del ministro degli Interni non nuovo ad uscite del genere (lo ricordiamo ancora alla vigilia della manifestazione di Vicenza contro la costruzione dell'ennesima base USA, la "Dal Molin", sul nostro territorio). Siamo rimasti colpiti, un "noi" riferito ai compagni che hanno potuto parteciparvi, constatando in diversi momenti del corteo l'accento posto sulla condizione coloniale dell'Italia. Anche una simpatica canzone diffusa via casse da un camion colpiva per l'attacco: "la chiamano terra italiana / ma a me sembra una colonia americana...". Abbiamo visto ragazzi affiggere manifesti che esplicitavano questo, l'essere l'Italia una colonia USA. Manifesti scritti a mano sul cui rovescio si vedeva che si trattava di manifesti del PRC (insomma, simpatiche contraddizioni da aprire...). Abbiamo ascoltato da uno di questi camion un discorso condivisibilissimo protrattosi per buona parte del corteo, in cui chi parlava circostanziava questo concetto della dipendenza entrando appunto nel merito. Abbiamo notato questo ed altro con piacere, perché riteniamo che avere letture sbagliate delle situazioni porti poi, inevitabilmente, a percorrere strade politicamente senza senso se si ritiene di voler cambiare (o concorrere a cambiare) davvero radicalmente lo stato di cose esistente.
La centralità che "Indipendenza" dà, dalle sue origini, alla problematica nazionale, alla rivendicazione di un'effettiva indipendenza e sovranità popolare, del necessario scioglimento di questo nodo per poter pensare di concretare, nelle forme che siano, un passaggio di cambiamento effettivo da questo modo di produzione capitalistico ad altro e quindi una diversa configurazione della struttura, della formazione sociale stessa di questo paese, ci ha fatto sentire davvero, in certi momenti, di essere veramente una voce nel deserto. Anche quando, ad esempio, ci veniva data ragione, ma non se ne traevano le conseguenze politiche in termini di agire politico. Certo, non bisogna enfatizzare quanto visto al corteo (a fronte infatti di altro che ci è parso stantio e stancamente ritualizzato), ma si tratta di segnali, altri ve ne sono stati in passato, per cui, anche a fronte della forza dei fatti, certe prese di coscienza si stanno facendo, sia pur faticosamente, avanti. Con tutte le contraddizioni del caso e, ripeto, senza volerci nascondere i limiti che sono emersi ieri anche in certi slogan o alla lettura di certi volantini. Ribadiamo infatti che parlare dell'Italia come di una colonia, mostrare come l'attuale governo ottemperi alle direttive statunitensi (come in questo paese avviene peraltro dalla fine della seconda guerra mondiale) anche per interessi delle sue oligarchie economiche e finanziarie e di quei ceti politici che a quelle sono sempre correlate, interessi che ritengono di tutelare ponendosi in scia dell'imperialismo statunitense, tutto questo è altra cosa dall'arrivare a dire che l'Italia è un paese imperialista, con ciò intendendo che abbia una propria volontà di potenza, propri obiettivi strategici, propri interessi da affermare, insomma proprie autonome e particolari finalità. Se di questo si trattasse, bisognerebbe prenderne le conseguenze, per quanto ci riguarda coerentemente con la nostra concezione nazionalitaria, anti-imperialista e anti-capitalista. Non è quindi vuota accademia semantico-politologica rendersi conto se, volendo intervenire sul piano politico, sociale, culturale, il contesto in cui ci si muove è quello di un paese imperialista o piuttosto, come talvolta si sente dire eufemisticamente, in un paese "a sovranità limitata". Cambia tutto: è come essere convinti di avere come destinazione Napoli e non rendersi conto che la direzione presa porta a Torino. Nella migliore delle ipotesi ci si perde...