Là dove è carente l’arte di pensare abbonda la menzogna, e la conseguente “arte” di mentire agli altri, superata solo dall’“arte” di mentire a se stessi. Da qui la “civica” menzogna, poggiante sulla credenza nel “peccato originale”, connessa al mito alimentare del frutto proibito, e consistente nel “primo incontro dell’uomo con una droga” (T. Szasz, “Il mito della droga”). Questo frutto infatti, se da un lato può portare alla morte per avvelenamento, dall’altro apre alla visione mistica di Genesi 3,5: “Si aprirebbero i vostri occhi”. Ogni esperienza della materia - mistica, corporea o dialettica che sia - pone la natura umana davanti a una scelta fra il suo uso ed il suo abuso: l’abuso genera menzogna circa la dipendenza dell’io dalla sostanza; il superamento della dipendenza incomincia dal riconoscimento della menzogna mediante evoluzione dell’attività interiore fino all’indipendenza. Da sempre, indipendenza e dipendenza sono pensabili a seconda della duplice concezione che si ha della natura umana: in positivo o in negativo. Per esempio, Mencio, discepolo di Confucio diceva che la natura umana è essenzialmente buona ed autosufficiente, per cui necessita solo di un processo di autocritica e di autorealizzazione per essere completa. Xün Zi, un altro discepolo, affermava il contrario: la natura umana è essenzialmente cattiva, per cui necessita di istruzione, rituali e controlli per modificarne la tendenza naturale nei suoi membri. Oggi questa dottrina, detta anche dell’uomo-lupo (“homo homini lupus”: l’uomo è lupo all'uomo) prevale, a causa di insufficiente pensiero nel coglierne la contraddizione e la menzogna: attribuire infatti all’uomo-lupo un’intenzione finalizzata a regolamentare e a modificare la sua presunta natura malvagia è attribuirgli una tendenza tutt’altro che malvagia. Oltretutto, pretendere che il lupo possa farsi agnello nutrendosi di agnello è paradossale, dato che ogni regola dietetica non potrà mai impedire al lupo di mangiare l’agnello secondo la sua natura. La crisi odierna del jure, del giuridico, del civis, e della civiltà, consiste appunto nel fatto che l’autorità adotta la pregiudiziale concezione della natura malvagia dell’uomo in quanto con essa è possibile il dominio dell’astratto sul concreto. Il concreto è dato dalla terra che elargisce sostanze, da cui l’uomo è tentato, per ritrovarsi sempre più indipendente e libero grazie ad autocontrollo. L’astratto è dato invece dalla volontà alienante di controllare l’uomo-lupo da fuori. Ma è in contraddizione con la considerazione concreta dell’“indipendenza”, la quale dimostrerebbe non solo che l’uomo-lupo, necessitando di controllo non eteronomo ma autonomo, possiede in sé genuina autorità, ma anche che egli non è per nulla un lupo. Il riconoscimento di tale genuina autorità interiore sarebbe comunque l’annientamento della menzognera autorità esterna, che d’altronde non vuole certo farsi annientare. Perciò impone non solo il monopolio mercatorio delle sostanze, ma la menzogna civica del modificare perfino il vocabolario umano allo scopo di nascondere la colossale bugia mascherandola da assistenza sociale. Anela così a togliere di mezzo astrattamente parole che il suo istinto di conservazione ritiene maggiormente pericolose come “autocontrollo”, “tentazione”, “libertà”, ecc. Per fare ciò necessita ovviamente di supporto “scientifico”. La scienza non può riconoscere all’uomo la sua libertà - scrive, per es., Umberto Galimberti nel suo recente libro “L’ospite inquietante” (marzo 2008) - perché anche il solo supporla non rientrerebbe nel metodo scientifico “regolato dal determinismo della ragione matematica”. Altra menzogna. Perché se si considera che da più di un secolo esiste anche una Scienza della Libertà, in cui il pensare umano è osservabile secondo gli stessi criteri delle scienze naturali (R. Steiner, “Scienza della Libertà”, in “La Filosofia della Libertà”, 1ª parte, 1894), tale affermazione, che ripete quelle di Szasz sul “rifacimento del vocabolario”, risulta debole, in quanto inquinata dallo stesso “riduzionismo” preannunciato nel 1948 da George Orwell nel suo romanzo futurista “1984”. L’uomo attuale - che per Orwell era l’uomo del futuro - è infatti leggibile nelle forze di “neolingua”, rifatta a colpi di aforismi, che lo determinano come un burattino: “si nutrivano di aforismi, frasi fatte”, scriveva Orwell nel suo profetico libro. Ed a soli 26 anni dalla sua uscita, Szasz affermava nel 1974 (op. cit.) che per eliminare dal vocabolario la parola tentazione, l’“aforisma perfetto” da usare era quello di Oscar Wilde, che diceva: “Il solo modo di liberarsi di una tentazione consiste nel cedere ad essa”, verità importantissima per Szasz e per chi è convinto che la libertà non esista o che l’autocontrollo sia nel migliore dei casi “un’illusione necessaria”. Ecco allora come si distrugge, assieme al concetto di libertà, anche quello di “tentazione” (del serpente), anticamente connesso alla libertà, ed ora tradotto in quello di “forza pulsionale” agente “alle spalle dell’individuo”, dunque maggiormente “scientifico” (sic!). È perciò “normale” che, per il contenimento di tale forza, sparisca pure l’idea di autocontrollo evocata dall’antica immagine della tentazione! Insomma diventa buono e giusto che l’uomo, affidandosi al mero controllo esterno, si abitui sempre di più a prendere l’autorità per la verità, piuttosto che la verità per autorità? Sembra proprio di sì. Con due pesi e due misure, cioè utilizzando insieme due visioni del mondo tra loro antitetiche - quella mitico-religiosa per lo spacciatore, e quella scientifica per il drogato - il potere costruisce a nuovo la schiavitù. La dialettica hegeliana servo-signore si esprime oggi nei termini di autocontrollo negato (pensiero debole del servo) e controllo istituito (nichilismo giuridico del signore). L’io in grado di autodominio, non avendo bisogno di signoria, fa paura al “signore”, il cui volere è per essenza connesso al signoreggiare, mediante estorsioni (usurocrazia) legalizzate da “esperti” assoldati per fotografare tutto con “obiettivi” di regime, necessari alla “civile” menzogna. È il caso del cosiddetto “signoraggio bancario”... Resta comunque un fatto chiaro: la parola “io” non è come le altre che si possono astrattamente eliminare o formalmente ricostruire mediante “bipensiero”. E non è neanche uno “psicoreato” alla Orwell. È scoperta di sé. È auto-rivelazione che la “civiltà” della menzogna deve costantemente velare.