Forum Borghesia mafiosa - 1
Per molti di noi la mafia o — molto più correttamente — le mafie sono solo i cialtroni a volte organizzatissimi “sparafucile”, sono i pianificatori-mandanti, uomini di cupola e d’onore; molto meno sono i loro sponsores, sussiegosi insospettabili e perbene, burattinai.
Per molti di noi le mafie sono il lasciar morti per terra, far viaggiare droga per il mondo, garantire voti, appalti e posti, e solo dopo l’ “evento” Libero Grassi, estorsione. Attività che, sull’onda della filtratura dei media, sono riconducibili a fatti illegali praticati ovunque: vedi tutte le statistiche che, TG1 in testa, si sono affannati a trasmettere sulla universalità dei fenomeni di criminalità organizzata nel mondo. Finché Cossiga, allora presidente della Repubblica con consolidata esperienza correntizia e poliziesca, poté dichiarare - senza timore - che gli sembrava assurda l’esistenza di una “specificità” criminale con connotazioni e fisionomia propria legata al territorio, giusto in una Regione dove il suo partito prendeva, e non da ieri, più del 40% dei voti!
Per molti di noi “la Mafia” è cosa fatta di succose faide e morbose vendette, complicati rituali, patti di sangue, criptiche iniziazioni. Così ce la vendono i media, così la insegnamo noi agli altri, se ci capita. A noi ed ai nostri media la mafia piace immaginarla come la nonna di Yukio Mishima: “Indomita, Retriva, e Confusamente Poetica” (Confessioni di una maschera).
[La “mafia” così intesa accomuna: il “Secolo d’Italia” del 7 nov. ‘91 ha avuto tiratura e diffusione specialissime. Con invio per posta ad indirizzi di ogni genere. Conteneva un paginone centrale TUTTOMAFIA, per un convegno “contro” tenuto a Palermo subito dopo. Le cose di base erano quelle su cui tutti possono convenire, con qualche sbandata. A conclusione del paginone una cronologia delle vittime eccellenti dal 1863 (= Gen.le garibaldino) al 1991. Ad una prima occhiata distratta mancavano da Placido Rizzotto e Turiddu Carnevale fino ad Impastato, Rostagno, Bonsignore. Refusi tipografici, certo. Ma che male c’è se ognuno piange i propri morti, assieme a quelli di cui proprio non si può fare a meno (= il Presidente della Regione, p. es.)?]
Tutt’al più siamo disposti ad ammettere — e a trasmettere — che questa “cosa” possa, occasionalmente e di certo eccezionalmente, anche se scandalosamente sempre più spesso, infettare-contaminare-stringer reciproci vantaggevoli accordi con la sfera dello “economico” e con la sfera del “politico”. Ma sempre restandone chiaramente distinta e distinguibile, “altra” da quelle due categorie universali, fondamentalmente sane. E su questa base, allora sì, siamo disposti ad interrogarci su quali saranno mai gli intrecci tra mafia affari e politica, e le conseguenti devianze. Lanciati con la faccia onesta nella fictio più mistificante: che trovato per assurdo un Sigfrido capace di uccidere d’un colpo la Mafia, le sue vittime (Affari e Politica) tornerebbero d’incanto alla iniziale pulizia. Uccisa la strega, il rospo diventerebbe una bellissima principessa, e la bella addormentata in eterno, baciata dal principe, si risveglierebbe allegra ed innocente.
Per molti di noi lo sforzo reale sta tutto nel respingere l’idea della sovrapponibilità delle tre cose. Delle tre parole. Dei tre concetti. La sovrapponibilità-scambiabilità REALIZZATA tra affari, politica e mafia.
E poi, ancora noi, ci rifiutiamo con terrore di spingere oltre lo sguardo, giù in fondo al pozzo, per non vedere: per non vedere PRIMA le tre cose restare due sole, il principe Affari e la principessa Politica; POI, di spingere lo sguardo, oh orrore, ancora più in profondità e scorgere i due confondersi in un “unum” solo, un reale pragmatico moderno concetto di mafia.
Quando lo stato FA una cosa, l’imprenditore gli è sempre accanto, catalizzatore positivo spesso, in ogni caso “presente e stipulante”. E quando la grande impresa FA una cosa, lo Stato le è accanto sempre, attivo garante-protettivo spesso, in ogni caso sempre “presente e stipulante”. Si danno rari casi, noti alle cronache e riportatati dai manuali, di disaccordi tra il Gatto e la Volpe. Disaccordi poi quasi sempre ricomposti con dignitosi compromessi e gentlemen’s agreements, i cui costi sono pagati da chi non era né presente né stipulante.
Ma, allora, la mafia cos’è? Cosa sono le mafie? Certo non sono l’ “antistato”, come vorrebbero i “persuasori per scelta e professione” nascosti dietro mamma TV ed alla stampa più seguita.
La mafia è innanzitutto impresa. E come impresa sta alle regole dell’efficiente conduzione di impresa, alle regole del mercato. Si muove all’interno dell’economia di mercato, e la tutela. In quanto impresa è tutelata.
Ma che tipo di impresa è? Come ogni buona e grossa impresa, diversifica le sue attività. Almeno in tre forme fondamentali, da cui possono derivare infinite varianti, joint ventures, covert operations, ma anche banali banalità.
Nella prima forma è impresa fortemente illegale, e truculenta in una percentuale (talvolta ridotta). Nella seconda forma è impresa illegale ma “perbene”, senza schizzi di sangue visibili, con attività ritenute di fatto praticabili, non disdicevoli e vergognose seppur, appunto, illegali. Nella terza forma è impresa legale, in regola con tutte le prescrizioni di legge.
La mafia-le mafie è accumulazione di capitale e moltiplicazione finanziaria del capitale accumulato. Non può essere “antistato”, quindi. Né il fatto che alcune mafie - delle più grezze - commettano stupide raccapriccianti marachelle allo scoperto può permetterci di scivolare nell’equivoco. Le mafie si muovono dentro le leggi della corretta economia di mercato, e lo Stato promuove l’Economia di Mercato, la protegge e la tutela, e se ne serve .
Le analisi in assoluto più realistiche e competenti sulla mafia, e sulla mafia come soggetto politico, sulla borghesia mafiosa, su fatti, “diritto”, cultura e specificità mafiosa - fuori dagli stereotipi e dai sociologismi - sono quelle che escono dal “Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato”. Leggi — se vuoi — almeno «L’alleanza e il compromesso» -Rubettino -, di Umberto Santino.
(Luigi Pintor in una impennata ‘di sinistra’ sul “manifesto” del 26 maggio 1993: «[...] Prima di essere malavitoso, in verità, il patto che ha unito per decenni e tuttora unisce il mondo del capitale e il mondo della politica in Italia ha avuto una precisa ispirazione e finalità antidemocratica e di classe: anticomunista ed antioperaia prima, antiriformista poi, contro le classi subalterne e le loro rappresentanze sindacali e politiche in generale. La ricchezza privata e la miseria pubblica, il privilegio fiscale eretto a sistema, il degrado urbano e di ogni servizio sociale, configurano una rapina primaria di risorse e regole e valori su cui spontaneamente si innesta la rapina complementare di tangentopoli. [...]»).
(segue)
rodolfo loffredo