Borghesia mafiosa – introduzione.
— Dedico questi miei appunti slegati a quel turista finlandese che un giorno mi chiese come si facesse ad “iscriversi” alla mafia. Ed a quei miei amici che, vivendo altrove, mi hanno sempre chiesto di capire, credendo che io fossi in grado di spiegare.
— Ogni tanto a proposito di mafia, capita di leggere frasi di questo tipo: “[...] ed allora l’Organizzazione decise che [...]” dove si parla - sempre in ipotesi - di una “Organizzazione”, con O maiuscola e virgolette. Leggendola così, la mafia, viene da sorridere e fare un gesto di fastidio. Perché non escludo affatto che imprenditori di cose mafiose, borghesi perbene e finanzieri malavitanti, furbacchioni e sparafucile, si siano dati un’organizzazione, o meglio, diverse forme di organizzazione, non note, segrete, clandestine. Né escludo che gli stessi si siano dati o si siano appropriati di forme di organizzazione palesi o note ai più, istituzionali in certi casi.
— Quello che so per certo è che un tipo di “organizzazione” è già, preesiste alle ipotizzate “Organizzazioni”. Una “organicità” è già a monte, è disponibile ed operativa già prima che gli immaginari contraenti si incontrino e si organizzino. In un certo modo i soci dell’organizzazione sono già “organizzati” e perfettamente d’accordo ancora prima di conoscersi. Li unisce un’intesa di base i cui termini non sarà mai necessario affrontare e concordare.
Ho annotato cose che tra di loro sembra non abbiano nulla in comune e che non sono sempre connettibili a prima vista ma che, alla fine, legano tutte in una coralità che è organica prima ancora di essere organizzata. Tutto si muove tra l’estetica mafiosa e la disperazione culturale.
*Chiusa di una lettera del gennaio 2007 ai miei amici finlandesi. «[...] Il problema della cultura mafiosa e dell’agire mafioso e del “consenso” alle mafie è Italiano— non solo meridionale. [...] Quanto a questa città immutabile — Palermo — ciò che conta è non frequentarla. Non berne l’acqua. E trattarne gli abitanti il meno possibile. Maxime quelli che pretendono di contare. Di certo non essere presenti alle abbeverate istituzional-mondane, non ai topoi d’obbligo, non ai suoi flebili eventi ed alla sua improbabile cultura, ai suoi eventucci fotocopia. [Se lo facessi potrei incontrare tre Saddam Hussein o due Achille Bonito Oliva ogni pomeriggio.]
Ma l’esperienza rende bravissimi nello slalommare e salvarsi. Convinti che c’è di peggio: Gela, Agrigento. E Messina …; e Nusco, e Gallipoli, e Milano, e Montecitorio … —: con il permesso della carta geografica.
Beh, carissimi: s’è fatto tardi. Il tè era ottimo. Tornerò a trovarvi.»
[Saddam, ho detto. Lo abbiamo visto tutti in tv in impeccabili abiti europei di buon taglio — il viso da buon padre moderato e buon pastore — muoversi benedicente tra la sua gente, allargare le braccia come papa Pacelli, comprensivo dei problemi dei più umili. Esattamente come un maggiorente politico italiano in uscita pubblica — uguale — non solo meridionale.]
rodolfo loffredo