25 APRILE 1945 - 25 APRILE 2010: IL FILO INTERROTTO DI UNA LIBERAZIONE
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"Nazione" e "patria" appartengono alla categoria delle non poche contraddizioni culturali di fondo irrisolte che hanno reso divisa, incerta, inconcludente e –alla prova dei fatti– perdente l'intera sinistra italiana, sebbene essa –all'indomani dell'insurrezione del 25 aprile– avesse dimostrato di essere sostenuta dalle speranze di una larghissima base popolare, soprattutto operaia. Una base di massa che, se diretta diversamente, avrebbe potuto dimostrarsi decisiva sia per avviare una effettiva realizzazione del programma di profondo rinnovamento postulato dalla Costituzione nata dalla Resistenza antinazifascista, sia per consentire la riappropriazione di quell'indipendenza nazionale e della conseguente sovranità popolare, l'una e l'altra pesantemente offese e rese praticamente inesercitabili, nella loro indispensabile pienezza, dall'ormai semisecolare "presidio-occupazione" del nostro territorio nazionale operato dall'imperialismo yankee» ("Indipendenza", n. 46, maggio '92).
Non perdono di attualità queste parole del compianto Angiolo Gracci, già comandante partigiano della "Divisione Garibaldi d'assalto 22 bis Vittorio Sinigaglia" e responsabile di "La resistenza continua - per un'Italia indipendente, libera, socialista". A 65 anni di distanza, la Resistenza si rivela essere sempre più una lotta di liberazione incompiuta. Come si può definire "sovrano" uno Stato disseminato dal Veneto alla Sicilia di oltre 100 basi e installazioni di aviazione, marina, esercito & Co. statunitensi? Privato di una politica estera che non sia l'accodarsi alle guerre imperiali USA –ieri in Iraq e Kosovo, oggi in Afghanistan, domani forse in Iran? Con una politica economica che altro non è che
osservanza ai dettami neoliberisti di Bruxelles, Francoforte, Washington? Come si può definire "sovrano" uno Stato smantellato nel tessuto industriale dopo anni di privatizzazioni / svendite eseguite sotto la remunerata supervisione delle grandi banche d'affari USA? Esautorato di sovranità valutaria a beneficio dell'euro, simbolo sempre più maledetto della perdita di potere d'acquisto delle masse popolari e della competitività commerciale estera delle piccole e medie imprese? Indebitato, a livello centrale e locale, con i sedicenti "mercati finanziari" a dominanza USA, pronti ad agitare lo spauracchio dell’insolvenza se non ci si piegasse alle misure neoliberiste di cosiddetto “risanamento economico”?
Come definire "libera" una nazione dove il lavoro, invece di "nobilitare", rende schiavi, senza diritti, i cittadini di questo Paese, grazie a leggi precarizzatrici benedette a Washington e Bruxelles? Come definire "libera" una nazione i cui beni comuni di necessaria proprietà collettiva come l'acqua (
res communes omnium, "cose comuni di tutti", non privatizzabili, ma di usufrutto comune, comunistico, nazionalitario quindi) vengono svenduti prevalentemente a favore di multinazionali estere? Dove l'ambiente, invece di essere salvaguardato, viene lasciato agli appetiti insaziabili di parassitarie cricche industriali e finanziarie senza scrupoli? Dove chi esercita una qualsiasi attività economica è stritolato dal peso sempre più opprimente dell'iniquità fiscale e delle grandi lobby bancarie? Dove si finanziano operazioni militari all'estero e dispendiosi sistemi d'arma al servizio degli USA tagliando fondi che colpiscono (anche) quello che è un bene primario di ogni nazione, cioè il proprio sistema educativo, scolastico? Dove gli "apparati di sicurezza", invece di difendere i cittadini dalla protervia dei potenti, si distinguono nei pestaggi gratuiti di gente inerme? Dove si scaricano sulla collettività i costi delle speculazioni di banche d'affari e gruppi in stretta simbiosi, a diverso grado, con gli stessi apparati statali? Dove, ultimo ma non ultimo, invece di solidarizzare attivamente, si criminalizzano come "clandestini" (anche con i Centri di Identificazione ed Espulsione) uomini e donne sfruttati nei sud del mondo dal sistema capitalistico e vittime di ritorno delle guerre neocoloniali ed imperiali che producono emigrazione?
Questo Paese è in progressiva svendita di sovranità e di beni. Lo Stato esistente pare sempre più una struttura funzionale all'amministrazione e all'esecuzione di decisioni esterne ed estranee agli interessi nazionali. È luogo di interessi di gruppi grande imprenditoriali e finanziari parassitari 'nostrani' (che mungono aiuti di Stato in funzione privatistica) e di quelli prevalenti di uno Stato estero, gli Stati Uniti, che da 65 anni detta le decisive linee di indirizzo politico ed economico di questo paese. Questi soggetti sono intrecciati tra loro a molteplici fili. Se poi si considera che oltre il 70% delle decisioni assunte in Parlamento sono la ratifica di direttive imposte dall'"Europa", cioè euro-atlantiche, che l'85% delle sentenze dei Tribunali italiani si ispira a regole europee (valore vincolante assumono le sentenze della Corte di Giustizia Europea) e che si mira ulteriormente a defraudare la sovranità dello Stato (non solo quello italiano: crisi greca
docet...) di altri suoi ambiti decisivi in favore soprattutto della sempre più potente (e non eletta democraticamente!) Commissione Europea, lo scenario è quello di uno "Stato" che eserciterà solo funzioni amministrative, di controllo e di polizia. Ovviamente conto terzi.
C'è una via di uscita da questa situazione? Forse sì. Se si centralizza il tema della dipendenza. Evidenziandone i nodi, gli intrecci tra dominanti esteri e (sub)dominanti interni. Andando al fondo delle problematiche (geo)politiche, economiche, sociali, culturali, ambientali, che interessano anche la nostra patria. Occorre porre come collante delle lotte sociali e politiche la conquista dell'indipendenza, della sovranità popolare. Leggere i conflitti di classe, le problematiche ambientali, le stesse battaglie civili, come aspetti di un più complessivo e necessario cammino di liberazione nazionale. Per emancipare questo paese dalla sudditanza, in una prospettiva di lotta non "dentro" il capitalismo, ma "al" capitalismo, sistema basato sul primato del profitto a scapito degli interessi collettivi e sul dominio sempre più stringente di grandi oligarchie imprenditorial-finanziarie nostrane e soprattutto estere. Ogni prospettiva 'nazionale' di liberazione può risultare parzialmente efficace se priva di incisività su uno dei versanti strutturali del capitalismo, quello dello sfruttamento di classe, in vista quantomeno di un realistico, possibile, forte contenimento delle divaricazioni sociali. Ogni liberazione nazionale degna di questo nome è tale solo come
conditio sine qua non del rivoluzionamento dei rapporti sociali e del modo di produzione. A ben leggere le "lezioni" della Storia, infatti, nessuna rivoluzione sociale è mai possibile senza libertà e sovranità nazionali. In altri termini, è dall’intreccio strategico delle due diverse prospettive (liberazione nazionale e socialismo rivoluzionario) che può scaturire il massimo dell’efficienza politica per la lotta al sistema capitalistico.
Rivendicare piena e completa indipendenza nazionale non è cosa che si esaurisca negli aspetti formali delle istituzioni politiche, ma deve incidere su piani sostanziali: dai rapporti sociali e dal modo di produzione, al tipo di società che si prefigura, alla stessa natura dei rapporti inter-nazionali.
Il nazionalismo in senso proprio è la legittima difesa organizzata degli interessi sociali di una nazione offesa, svilita, in certi casi anche 'negata'. Chi utilizza in senso aggressivo quanto è veicolato attraverso il concetto di nazione, fa dello sciovinismo, non del nazionalismo. L'accezione negativa che se ne ha in Italia, è frutto di una mistificazione storica operata dal liberalismo prima e dal fascismo poi, regime –questo– colpevole di almeno quattro crimini proprio sul terreno della questione nazionale: politicizzazione partitica dell’identità nazionale, per cui "antifascista" fu fatto assurgere a sinonimo di anti-italiano; associazione dell’idea di nazione ad un programma espansionistico, colonizzatore e razzista di tipo imperialistico –aggressione all’Etiopia del 1935-'36, all’Albania, alla Grecia, alla Jugoslavia ed alla Russia a partire dal 1939; leggi razziali del 1938, che introdussero criteri di discriminazione su base religiosa tra membri di una stessa comunanza/appartenenza nazionale; oppressione e tentativo di cancellazione e di snazionalizzazione delle minoranze nazionali di lingua tedesca (dell’Alto Adige), slava (dell’Istria) e greca (del Dodecanneso). Ma, appunto, di mistificazione, di manipolazione, si tratta, e lo sarà sempre, quando le finalità consistono nell'affermazione di interessi di classi dominanti smaniose di mantenere ed accrescere i propri privilegi di potere, strutturalmente sempre anti-nazionali. Il capitalismo non ha mai avuto e non avrà mai "nazione". C'è una strutturale alterità di interessi e di 'orizzonti'. Le grandi oligarchie imprenditorial-finanziarie necessitano semmai dell'appoggio determinante di uno Stato, con cui si relazionano per l'affermazione dei propri interessi particolari, sia dentro sia esternamente ad esso, richiedendone un 'accompagnamento'.
Occorre materializzare le idee di indipendenza e di liberazione nazionale in capacità di analisi e capacità di costruire un progetto, per un nuovo scenario politico e sociale. E' cioè necessario parlare di scuola, di energia, di difesa popolare, di modo di produzione, di politica estera, di sanità, di lavoro, di agricoltura, ecc. In un'ottica nazionalitaria, indipendentistica, patriottica e socialista. Ci sono delle condizioni per riaprire, per ora a partire da alcuni territori di questo paese, la possibilità di accumulare forze e di trasmettere meglio, nella società italiana, l'esistenza di certi nodi e la necessità di certe istanze. Dalle campagne sulla sovranità alimentare e il No agli OGM al referendum sul bene comune acqua, dalle lotte in corso dei comitati No TAV e No Dal Molin a quelle dei No Ponte e No Triv, passando per i No inceneritori, No rigassificatori, No elettrosmog, dalle proteste di scuola e Università alle lotte per il lavoro, financo ai gruppi di piccole “imprese che resistono”, occorre spingere decisamente per nazionalizzare il portato delle loro lotte. Sarebbe importante, come obiettivo intermedio, arrivare ad una Costituente, ad un organismo che raccordi su basi patriottiche e socialmente emancipative individualità e forze sparse sul territorio nazionale e nell'emigrazione. Senza anti-imperialismo non si costruisce anti-capitalismo! Senza indipendenza nazionale non c'è prospettiva di liberazione sociale! Costruire ogni giorno un 25 aprile! Resistenza, indipendenza, liberazione!
Indipendenza(editoriale del n. 28, maggio/giugno 2010, di "Indipendenza")