Perché dire ancora "no" al nucleare
Via libera definitivo del Senato al disegno di legge sullo sviluppo, che prevede anche il rilancio del nucleare civile in Italia. In sei mesi dall’entrata in vigore della legge il governo predisporrà la normativa per tornare al nucleare e per la localizzazione degli impianti oltre che dei sistemi di stoccaggio e deposito dei rifiuti radioattivi. Sarà il Cipe a definire le tipologie degli impianti. I siti potranno essere dichiarati «
di interesse strategico nazionale» e quindi soggetti anche a controllo militare. Prevista un’autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio degli impianti che verrà rilasciata dal ministro dello Sviluppo economico, di concerto con l'Ambiente e le Infrastrutture «
previa intesa con la Conferenza unificata». L’autorizzazione non sostituisce però la Via (valutazione di impatto ambientale) e la Vas (valutazione ambientale strategica).
Questa la notizia. Solitamente è l'argomento relativo ai vantaggi economici che viene addotto dagli apprendisti stregoni del rilancio del nucleare in Italia. Però, 'stranamente', non si fanno e/o non si comunicano in modo dettagliato ed articolato il costo del chilowattora nucleare. Necessita, quindi, qualche considerazione:
1. Il nucleare ha senso per risolvere il problema della dipendenza dal petrolio? No, visto che questo è usato in larga parte per il settore dei trasporti. Ora, oltre a continuare ad importare petrolio, l'Italia si candida ad importare anche uranio, il cui prezzo cresce molto di più di quello del petrolio.
2. L'uranio. Si stima che, con gli attuali ritmi di consumo delle centrali nucleari già in funzione, le scorte si esauriranno tra i 50 e gli 80 anni. Il lasso di tempo calerebbe in relazione all'aumentare di nuovi reattori nucleari. Altra osservazione, 'sui tempi', da collegare. Per costruire una nuova centrale servono 8-10 anni. Una entrata in funzione peraltro non di poche centrali nucleari (il nucleare, infatti, acquista un senso solo se assume determinate dimensioni in certi tempi, altrimenti è solo una perdita economica ed energetica) in Italia si avrebbe dopo il 2020. Nel frattempo bisogna mettere nei costi il fatto che, per costruire una centrale, occorre spendere una energia uguale al 50% di quella che la stessa erogherà durante la sua esistenza, senza quindi intervenire minimamente 'in positivo' su problematiche come le emissioni di gas serra o per ridurre i costi dell'elettricità. Queste voci, anzi, peggioreranno quando le centrali entreranno in funzione. Il ciclo del combustibile nucleare prevede infatti una importante emissione di CO2.
3. Tra gli altri costi economici c'è il prezzo dell’uranio. Quello "naturale" era di 14 dollari al chilo nel 2001 salito a 220 dollari al chilo nel 2007!!! L'incremento del numero delle centrali ed una riduzione delle riserve di uranio faranno prevedibilmente salire a costi sempre maggiori la richiesta. Poi c'è il costo derivante dall’arricchimento dell’uranio. Un processo che può essere svolto da un’attrezzatura piuttosto complessa e costosa che, per varie motivazioni tecniche e politiche su cui qui non ci si sofferma, è disponibile solo in alcuni imponenti centri negli USA. Quanto costa questa sofisticatissima tecnologia? Non lo sappiamo e soprattutto è incontrollabile la fornitura di materiale arricchito (perché d’uso militare) in periodi di crisi internazionale.
4. Poi ci sono i costi derivanti dalla costruzione di tutti gli accessori alla centrale nucleare: ciclo del combustibile, impianti di stoccaggio, trasporto, smaltimento rifiuti, eccetera. Tenendo conto di essi, supponendo di avviare domani la progettazione di centrali nucleari, queste saranno in grado di fornire energia, nella migliore delle ipotesi, nel 2030. Infine il costo più grande: lo smantellamento ("decommissioning") della centrale dopo il suo tempo d’uso (una trentina d'anni) quando è essa stessa diventata una gigantesca scoria ("avvelenata" dalle varie reazioni nucleari).
5. L’analisi costi-benefici deve poi tener conto che i benefici non sono riconducibili esclusivamente al nucleare in sé, ma a tutto l'indotto-volàno di progresso tecnologico che dovrebbe essere stimolato. Ma qui si dovrebbe aprire tutto un capitolo sulla dipendenza tecnologica e produttiva italiana dagli USA. In tal senso anche le possibilità di alternative energetiche non casualmente
dormono da decine di anni, perché non sono remunerative per le multinazionali dell’energia e per gli interessi geopolitici di chi ha ridotto l'Italia allo stato di colonia. La vicenda del nucleare, in tal senso, è un’utile ed ulteriore cartina al tornasole per riscontrare la dipendenza coloniale dagli USA.
A chi intendesse informarsi su altri aspetti non meno rilevanti della questione, segnaliamo :
"
Dal petrolio al nucleare: analogia di una dipendenza. Proposte per un'indipendenza energetica nazionale";
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A volte ritornano. Mistificazioni sul nucleare. Intervista ad Angelo Baracca"
entrambi pubblicati sul n. 24 della rivista (cartacea) "Indipendenza". Gli interessati contattino la redazione a : info@rivistaindipendenza.org