Alle 3.45 ora italiana di ieri, 7 aprile, la base militare siriana di Shayrat è stata colpita da missili
Tomahawk USA: 23 sui 59 lanciati. L'agenzia governativa siriana Sana parla di un bilancio di 15 vittime, la maggior parte civili (tra cui anche quattro bambini), la distruzione di un numero limitato di aviogetti e di alcuni edifici. Indenne la gran parte degli aerei presenti, nonché la pista e le vie di rullaggio. L'amministrazione Trump ha giustificato l'attacco come punizione per i (non dimostrati) raid chimici dell'aviazione siriana su Idlib di tre giorni prima e precisato che il bombardamento “non rappresenta un cambio nella nostra politica sulla Siria”.
Sulle dinamiche che hanno determinato i morti di Idlib non si è inteso fare chiarezza. Del resto non
interessava, trattandosi di un pretesto forse nemmeno fortuito. Da subito si è puntato
l'indice su Damasco e in tre giorni, in tempi molto rapidi, troppo rapidi a detta di alcuni esperti
militari, come se l'operazione fosse stata già predisposta dal Pentagono, si è proceduto all'attacco. Su due aspetti in particolare invitiamo a riflettere: uno attiene all'effettiva possibilità che ad Idlib siano saltati depositi di armi chimiche nelle zone sotto il controllo dei “ribelli” (non sarebbe la prima volta…), forse anche opportunamente predisposti per essere colpiti e per creare l'ennesimo 'orrore'. L'altro attiene al perché Damasco avrebbe dovuto ricorrere all'uso di armi chimiche oggi che sta vincendo, peraltro in un contesto di intrecci e di rapporti internazionali delicato, e non lo abbia fatto nei momenti difficili del conflitto.
Ci sono poi altre 'anomalie' sugli accadimenti a Idlib che le cancellerie di Francia, Germania, Gran Bretagna, dei Paesi del Golfo, di Ankara, di Tel Aviv oltre che di Washington non hanno inteso minimamente considerare, interessati piuttosto ad innescare una risposta militare, in ciò sostenuti dall'ennesima intensa attività propagandistica e manipolativa di massa del giornalismo atlantico (anche italofono) per predisporre favorevolmente o comunque non ostilmente le opinioni pubbliche.
La rilevanza dell'attacco statunitense sta sulle ricadute politiche e comunicative, prima ancora che su quelle altrettanto significative di natura militare. Innanzitutto si rianimano le aspettative di quelle forze 'ribelli' incapaci di rovesciare Assad senza il decisivo sostegno che l'amministrazione Obama e diverse altre cancellerie hanno in modo interessato dato dal 2011, con qualche intermittenza nel percorso. Non solo, incoraggia dette forze, anche quelle suppostamente moderate, a ritrarsi dal tavolo negoziale verso il quale la loro progressiva e accelerata spirale di disfatta le stava spingendo, ed apre la strada a possibili ulteriori 'situazioni dell'orrore', opportunamente costruite sul terreno, per favorire l'interventismo militare esterno. Vien da sé il potenziale scombussolamento in tutta l'area arabica.
In secondo luogo, il rapido voltafaccia di Trump, che si era a più riprese detto contrario alla guerra
siriana (ma non ad altre, in altri scenari), da un lato incrina la politica di distensione proclamata con la Russia, dall'altro rende più credibile l'apertura di quegli altri scenari bellicisti che da prima del suo ingresso alla Casa Bianca aveva minacciato: Corea del Nord, Iran, Cina.
In terzo luogo, se 'fuori casa' la confliggenza ricompatta il campo euroatlantico, 'in casa' alleggerisce le forti frizioni con i settori dell'apparato che, da prima della sua nomina alla presidenza, lo stanno attaccando in tutti i modi e ad ogni livello, limitandone anche l'agibilità politica con i voti contrari ai suoi provvedimenti anche da parte di parlamentari del suo stesso partito, con l'induzione alle dimissioni dei suoi più stretti collaboratori, con il discredito. Non a caso incassa –per ora– il plauso dei democratici (in primis di Hillary Clinton) e di quei repubblicani (in primis l'ex candidato presidenziale John McCain), apertamente guerrafondai e pronti, dopo Obama, ad alzare ancora di più l'asticella bellicista contro Damasco, Teheran, Mosca. Un'apertura di credito che, se non accompagnata da ulteriori recrudescenze, è però destinata a chiudersi.
L'Unione Europea? Ovviamente schiacciata sulle posizioni di Washington. Rigorosamente in nome della pace!
Indipendenza
8 aprile 2017