C’è molto, troppo che non torna sull’attentato alla redazione di Charlie Hebdo. Tanti interrogativi e molto, troppo di contraddittorio, di stridente: da un lato una freddezza ed una professionalità militare degli attentatori nei movimenti e nella precisione ‘cadenzata’ degli spari (uno-due colpi su ogni vittima, non raffiche), dall’altro una serie di anomalie comportamentali e di fantozziane imperdonabili “sviste” tra cui: 1) entrare nel palazzo sbagliato e farsi indicare l’indirizzo corretto del settimanale; 2) “perdere” sul sedile della Citroen C3 abbandonata durante la fuga vicino a Porte de Pantin, a Parigi, la carta d’identità autentica (?!) di uno di essi. Scivolata via dalla tasca, prima ancora dal portafoglio? E quale, come, visto il tipo di tuta da reparti speciali che indossavano?
Tutto questo (ed altro) è molto, troppo strano. In palese contraddizione con la professionalità dimostrata sul piano militare.
Anche la ricostruzione della fuga e di come si è arrivati ad individuarli e circondarli in quella tipografia a Dammartin-en-Goele presenta una serie di passaggi tra il rocambolesco e l’inverosimile (la donna superata in macchina in autostrada che riconosce gli attentatori e avverte la gendarmeria; la segnalazione dei due che transitano nei pressi di Villers-Cotteret, su una Clio bianca, con indosso dei passamontagna, ecc.). Sembra un riadattamento della fiaba di Pollicino...
Alla fine, dalla iniziale (apparente?) sprovvedutezza ed impreparazione dei servizi segreti e di gendarmeria francesi si arriva alla sorprendente efficienza in poco più di 48 ore: dall’irruzione degli attentatori nella redazione del settimanale il 7 gennaio alle 11,30 all’epilogo, per loro cruento, intorno alle 17,00 del 9 gennaio.
Sembra la trama hollywoodiana di un film d’azione, con passaggi incredibili inverosimili grotteschi. Proviamo a farla anche noi un’ipotesi, forse non credibile, però non inverosimile e quantomeno non fantozzianamente grottesca, certamente più cruda e non nuova nella storia anche di questo Paese. Si chiamano operazioni di doppio livello, con variabili interne d’attuazione.
Nella versione ufficiale, la chiave di volta sta nella carta d’identità “persa” in macchina. Grazie a questa si indicano dei colpevoli peraltro già molto ben noti a polizia e servizi segreti e si innesca la romanzesca caccia all’uomo, con il suo sorprendentemente rapido epilogo. Proviamo a vedere le cose da un’altra angolazione: niente carta d’identità abbandonata, niente “sviste” necessarie a presentare un gruppo di sprovveduti e rendere credibile la “madre [incredibile] di tutte le sviste” di questa vicenda, appunto la carta d’identità abbandonata in auto.
Che invece si sapesse cosa stava per accadere e chi lo stava per compiere, e si sia lasciato fare, intervenendo solo dopo, a cose fatte, con la necessaria eliminazione fisica degli attentatori?
Il che apre un ulteriore interrogativo: perché? Per ottenere quello che ne è conseguito: colpire l’opinione pubblica sul piano dell’emotività e prepararla a passaggi successivi, conseguenti, forti.
Del resto quante autorità, dagli Stati Uniti a diversi Stati europei, nella stessa Francia, hanno affermato che l’attentato è una guerra dichiarata contro l’Occidente, che è necessario difendersi, potenziare le proprie forze militari, essere pronti ad attaccare ovunque nel mondo preventivamente! Parole stridenti con il sostegno che i governi degli Stati Uniti e dei suoi alleati/subalterni ‘occidentali’, in sintonia con i grandi finanziatori ed ispiratori politici degli emirati del Golfo, hanno fornito alle diverse formazioni e ramificazioni alqaediche, takfiriste, wahabbite, nelle guerre d’aggressione alla Libia e a quella ancora in corso, ma non riuscita, in Siria.
Si vuole preparare il terreno perché la NATO intervenga, forse proprio in Siria per colpire formalmente l’ISIS e in realtà il governo di Assad che i propri protetti in loco, quelle formazioni di cui sopra, non sono riusciti a rovesciare? Si vuole attaccare un Paese alleato della Russia che lì, a Latakia, mantiene pure una sua base navale, con un’operazione a tenaglia che vedrebbe in contemporanea un rilancio dell’offensiva militare dei golpisti liberal e neonazisti di Kiev filoatlantici nell’est dell’Ucraina e contro la Russia?
Ebbene, se si vogliono preparare le opinioni pubbliche europee a qualcosa di forte, c’è purtroppo da aspettarsi altri atti come quello di Parigi, forse anche più cruenti e probabilmente non solo in Francia.
Indipendenza
Post scriptum.
Secondo Paul Craig Roberts, economista, vice ministro delle finanze degli Stati Uniti, consulente e giornalista economico del Wall Street Journal, la vicenda ha tutta “l’apparenza di un’orchestrazione”. Se non si tratta di una “operazione di falsa bandiera” (“false flag operation”), afferma, gli effetti vengono utilizzati per uno o più ampi scopi:
1) riportare la Francia nell’orbita di Washington, giacché il presidente francese ha recentemente dichiarato che le sanzioni contro la Russia devono terminare (stanti i contraccolpi negativi sull’economia francese);
2) soffocare la crescente simpatia europea per i palestinesi e riallineare l'Europa con Israele;
3) contrastare l'opposizione crescente in Europa per altre guerre in Medio Oriente (è da completare il programma di scardinamento contro Siria, Iran, Hezbollah...).
Craig Roberts precisa che ci possono essere altri scopi non a lui noti. Qui il testo: http://www.paulcraigroberts.org/2015/01/11/suspicions-growing-french-shootings-false-flag-operation/