“Non siamo più disposti a raccogliere materiale che colpisce palestinesi innocenti e che serve alla loro persecuzione politica e alla prosecuzione dell’occupazione dei Territori”. Lo scrivono, in una lettera indirizzata al premier Benyamin Netanyahu, 43 ufficiali e militari della riserva dell'unità di eccellenza 8-200 dell'intelligence, fornita di capacità di intercettazione molto sofisticate, tra le più prestigiose dei servizi segreti israeliani e spesso paragonata alla Nsa (National security agency) statunitense. Il quotidiano Yedioth Ahronoth ha pubblicato stralci della lettera.
Un atto di alta rilevanza e significativamente simbolico, per l’ambiente di provenienza, che non ha precedenti nella storia dello Stato d’Israele e che riflette il disagio, quantunque ancora largamente minoritario sul piano pubblico, rispetto ai crimini sionisti da decenni consumati in nome della occupazione ed annessione della Palestina con relativa pulizia ‘etnica’ (espulsione / genocidio) contro i palestinesi.
Si tratta di uno degli effetti in negativo dell’ennesimo, più recente, attacco sterminazionista nella prigione a cielo aperto, resa tale da Israele, di Gaza. Attacco che ha colpito abitazioni, ospedali, scuole, moschee, chiese, causando 2mila morti, 8mila feriti, migliaia d’invalidi, 9mila case distrutte, 8mila seriamente danneggiate, 43mila da riparare. Un terzo della popolazione oggi è senza casa, tutti sono in attesa quotidiana di ricevere dai tunnel di Rafah e di Heretz quanto serve per non morire di fame, senza per questo sfamarsi. Scarseggia l’acqua potabile (quella dolce è il riciclo degli scarichi fognari), l’elettricità quotidiana per pochissime ore è quella concessa da Israele in cambio di un oneroso pagamento, le cure sanitarie sono divenute ancor più precarie dopo le ultime distruzioni.
Nonostante questo ennesimo drammatico bilancio, la popolazione palestinese ed i resistenti di Gaza non sono stati piegati. Si riproverà con la prossima mattanza in grande stile, al netto degli assassinii e dei crimini quotidiani perpetrati nel silenzio e nell’indifferenza della cosiddetta “comunità internazionale”.
Intanto 43 militari d’elite di Israele, sinora parte di questo ingranaggio di morte, hanno deciso di dire basta.