Inviato dall'autore, contiene spunti di riflessione. Con l'occasione segnalo il suo articolo "Fuoriuscita dal capitalismo e soggetto rivoluzionario" sull'ultimo numero di "Indipendenza" (rivista cartacea)
UNA BREVE PANORAMICA
di Gianfranco La Grassa (5 gennaio 2010)
1. Come al solito la prima volta è un dramma, la seconda una farsa. A dire la verità, nelle due vicende cui accennerò qui di seguito c’è costante farsa, non però divertente, di portata del tutto diversa fra loro. Nel settembre 2001 ci fu l’abbattimento delle “due torri” (su cui non farò illazioni), che servì comunque da scusa per inscenare la lotta al terrorismo (di Al Qaeda, versione simil-reale della più apertamente fantastica e romanzata Spectre della serie di James Bond) con l’aggressione all’Afghanistan, area chiave della zona asiatica in cui si vanno enucleando nuove potenze della fase multipolare, seguita subito dopo da quella all’Irak di Saddam, inventandosi l’ormai scoperta e dichiarata “balla” delle armi di distruzione di massa. Il terrorismo è la base comune di tutte le operazioni statunitensi degli ultimi vent’anni; di volta in volta si scoprono attentati attuati o sventati, armi di distruzione di massa (le chimiche irachene, le nucleari iraniane, ecc.) o semplicemente la mancanza di “libertà e democrazia” (all’americana!), che si ritengono forme d’appoggio alle manifestazioni terroristiche (magari solo potenziali, ma da combattere comunque).
Adesso, all’inizio del 2010 si è arrivati alla farsa nel suo aspetto più risibile (sempre però assai poco divertente). Si è sventato un attentato su una linea aerea americana e se ne sono individuate le basi logistiche nella solita Al Qaeda, “sezione yemenita”. Per cui è da giorni che si prepara l’isteria collettiva occidentale per nuove operazioni aggressive e poliziesche di questi “banditi yankees”, che hanno sempre maggiori somiglianze con quelle naziste, ivi comprese le “brillanti” campagne mediatiche di Goebbels, assai più intelligenti e fini invero di quelle americane e dei loro complici europei, che non sanno più come nascondere il loro turpe servilismo. Siamo al punto che ho letto ieri sul Giornale un demenziale articolo in cui si affermava: bando al disfattismo in Afghanistan perché “noi” stiamo vincendo. Sono scoppiato a ridere, non solo per l’idiozia del stiamo vincendo (se ne accorgeranno a tempo debito di quanto coglioni o mentitori sono), ma ancor più per il ricordo degli operai dell’impresa La Grassa che sostenevano orgogliosi: la “nostra” azienda produce meglio, guadagna di più, vince nella concorrenza perché “noi” siamo più bravi e fottiamo tutti nel mercato. Perfino mio padre sorrideva, guardando intenerito i “suoi” operai; anche per questo divenni comunista, abbandonando dopo qualche anno la “nostra” impresa e scaraventandomi in quella “gabbia di matti” che è l’Università. Bando però alle memorie.
Non bisogna mai in nessun caso personalizzare le vicende politiche, abitudine invalsa negli ultimi anni di totale degenerazione politica e intellettuale. In realtà, dopo il crollo del preteso socialismo, gli Usa si crederono l’unica potenza rimasta per almeno alcuni decenni a venire, pensarono di poter rinverdire la vecchia impostazione di tipo imperiale per un predominio incontrastato del mondo, usando la versione moderna della “politica delle cannoniere” (oggi portaerei). Sotto le amministrazioni dei due Bush (repubblicane) e di Clinton (democratica) ci si dedicò ad un’aggressione appresso all’altra. Si manifestò una sorprendente improntitudine strategica quando si dichiarò che ormai le guerre si potevano vincere con la sola aviazione (basandosi su quella scatenata contro la Jugoslavia nel 1999) e che gli Usa erano in grado di sostenere anche tre guerre contemporaneamente in teatri d’operazione perfino molto lontani tra loro. Si è dimostrato assai presto come fosse stato commesso un grave errore di valutazione; e non commettiamolo anche noi adesso attribuendo alla crisi finanziaria, ed economica in genere, il motivo di fondo della svista.
Nient’affatto; erano in gestazione nuove potenze, sia pure ancora assai inferiori agli Usa, comunque di forza sufficiente per mettere in scacco ogni tipo di politica unilateralmente imperiale. Nel 2001 ci fu l’ultima illusione di Bush jr. di poter essere seguito da tutti gli altri paesi nella lotta al “fantasma” terrorista, abbondantemente alimentato con la propria politica aggressiva e di piena volontà di subordinare l’intero globo. Si credé di aver convinto anche la Russia (per via del “disturbo” rappresentato dai ceceni) e la Cina (interessata a reprimere gli uiguri). L’illusione è durata poco e le continue mene americane in Ucraina e Georgia, nel Medio Oriente dove si è lasciata via libera alla politica massacratrice di Israele, nel Caucaso, ecc. hanno irritato (eufemismo) Russia e Cina; così come le si è urtate con la politica ambigua in Pakistan, con l’appoggio agli antigovernativi in Myanmar (Birmania), ai monaci tibetani, ecc. ecc.
L’elezione di Obama è stato un segnale di intenzione di semplice mutamento tattico, quello che ho indicato quale passaggio dall’aggressività della tigre a quella del serpente; non invece, come pretenderebbero i meschinelli di casa nostra, di destra come di sinistra, uno slancio in direzione di un atteggiamento pacifico e tollerante. Solo l’insieme del servitorame “occidentale” fa di tutto per accreditare presso “il popolo” una simile menzogna, culminata nel comico (e degradato) premio Nobel per la pace proprio alla vigilia di un nuovo impegno apertamente bellico. In effetti, la maschera è stata gettata assai presto, pur se è difficile adesso per gli Usa trovare la tattica adeguata in un mondo che si avvia chiaramente verso un crescente disordine e incontrollabilità. La popolarità di Obama sta scendendo negli stessi Usa (anzi più negli Usa che presso i frastornati e insulsi europei) proprio perché quest’amministrazione non sa bene che cosa deve fare. Non aspettiamoci comunque dei sedicenti “colpi di coda”; la potenza militare (e non solo militare) non consente quello che si era sperato alla fine del secolo scorso e fino al 2001-3, ma è sufficiente a ripensare una strategia di confronto/scontro con altre potenze in ascesa così come accadde dopo l’inizio del declino inglese nella seconda metà del XIX secolo (e fino al 1945).
2. Certamente, anche il modo di affrontare l’ultima crisi finanziaria (veramente superata? E’ lecito lasciare la domanda in sospeso?) è stato un monumento di ipocrisia e inefficienza; sul piano mondiale come, nel piccolo, anche sul piano più specificamente italiano. Si sono innaffiate le banche di “soldi”, le si è salvate dal dissesto lasciando perdere gli “equilibri” di bilancio (cioè la mera riduzione degli squilibri), che pure vengono sempre in primo piano quando qualcuno chiede, ad es., una diminuzione della pressione fiscale. Il nostro Ministro dell’economia, “che tutti ci invidiano”, ha tuonato contro le banche, ma non sembra aver ricevuto gran ascolto e si è calmato; ha “sputtanato” gli economisti, che adesso re-imperversano sui giornali con le loro previsioni circa il 2010 che si riveleranno sballate come al solito; aveva parlato della crisi in quanto tornante decisivo di mutamento epocale, mentre adesso afferma che ne usciremo bene e soprattutto, direi, senza alcuna resipiscenza da parte dell’establishment rimasto quello di prima, con la sua incapacità e arroganza di sempre.
Pensiamo, come contraltare, a come affrontarono la crisi del 1929 (e ci si è detto che quella degli ultimi due anni è seconda solo rispetto a quella degli anni ‘30) le potenze in lotta per la supremazia dopo il declino inglese. Gli Usa risposero con il New Deal che mise al centro del problema lo Stato spenditore (spesa in deficit di bilancio) al fine di risollevare la domanda ritenuta (sia pure con la solita mentalità errata dell’economicismo) responsabile prima della difficile situazione. La Germania reagì con il nazismo e la dura “messa in riga” delle banche restituite alla loro funzione di servizio all’industria (sia pure delle armi secondo lo specifico orientamento di quella data forza politica). Certamente, e l’ho chiarito più volte, la crisi fu veramente risolta solo dal confronto bellico; non in se stesso considerato, ma perché ne uscì finalmente l’autentico successore dell’Inghilterra come centro (in qualche modo regolatore) del “campo capitalistico”. Tuttavia, la politica nazista più direttamente, quella statunitense in modo appena più coperto, furono modalità di confronto per la supremazia che presero spunto dalla crisi e, pur quale “ricaduta” di altre più drastiche soluzioni, condussero al suo superamento.
Attualmente, non si nota nulla di tutto questo. L’unico paese che – pur con l’ammissione di una forte caduta del Pil nel 2009 (valutata all’8,7%) – ha posto l’acceleratore sul ripristino di una sufficiente forza militare in vista del duro confronto futuro con gli Usa, è stata la Russia (si veda il recente chiaro discorso di Putin in merito). Nel mondo occidentale, sia il “padrone” sia i “servi” non hanno avuto la forza di ridurre a ragione i gruppi dominanti della finanza. Sintomo preciso sono gli emolumenti ai manager bancari, in specie statunitensi, che tanto scandalo hanno destato fino a sei mesi fa o poco più; quest’anno è finito con il “bengodi” di quelli che non possono essere additati come “i colpevoli” per eccellenza – poiché la crisi è fenomeno di sistema, non dovuto al semplice malaffare di qualcuno o anche di un intero gruppo sociale – ma certamente nemmeno sarebbero da premiare, quanto meno per decenza e finzione di serietà. In particolare, la Goldman Sachs, banca indicata quale dimostrazione della “caduta degli Dei”, è tornata sull’Olimpo del massimo potere; e si tratta di un’organizzazione che è vero sinonimo di intrigo e truffaldino potere esercitato “sia a destra che a sinistra”, una vera cosca assai pericolosa a livello mondiale.
Anche in ciò si constata il sostanziale fallimento, almeno fino ad ora, della nuova amministrazione statunitense e del suo tentativo di cambiare tattica onde adattarla alla fase multipolare, in cui stiamo entrando. Vedremo le prossime mosse; tuttavia, mi sembra che molto sia già stato pregiudicato. Come sostenuto più volte, appare sempre più chiaro che la Russia, dopo il decennio di forte scombussolamento, diverrà nel prossimo futuro (non tanto breve) il più accreditato competitore in gara per la “successione” agli Usa (ancora in buon vantaggio) per ciò che concerne il problema (chiave) della supremazia. Mi permetto, almeno in questa fase, di avere dubbi sulla Cina. Essa pare aver poco risentito della crisi in termini di crescita (del Pil); tuttavia, insiste eccessivamente sul lato economico della competizione globale e si è esposta notevolmente sul piano finanziario, in specie in direzione degli Usa. Si tratta per il momento di “sensazioni”, che credo saranno però fra qualche anno sostanziate da fatti più evidenti. E’ l’economicismo imperante fra gli ideologi delle classi dominanti “occidentali” – in ciò non secondi rispetto ai rozzi residui del marxismo – a far sopravvalutare il gigante asiatico, mentre solo di recente si è cominciato a prendere sul serio la Russia; chi continuerà in tale abbaglio, avrà fra pochi anni un brusco risveglio. La Russia si dimostrerà il vero antagonista principale; senza, sia chiaro, che si torni minimamente al fu mondo bipolare.
E’ in tale contesto, sempre più confuso e denso di squilibri, che andrà valutato e soppesato il destino del nostro paese. Si tratta di una società fortemente dissestata, disorganizzata, in cui né maggioranza né opposizione (prescindendo da chi rappresenta, di volta in volta, la prima e la seconda) sono apparse in grado di imprimere una svolta. Il disservizio “pubblico” è ormai immane; la lotta ai “fannulloni” appare ridicola poiché bisogna cominciare dai vertici, dai “generali”. Basti considerare, quale semplice esempio ma preclaro, il disastro di Trenitalia (e non che la nuova Alitalia brilli gran che); un dissesto ormai giunto al diapason, senza che ne venga risparmiata l’“alta velocità” (la Freccia Rossa va bene durante i viaggi inaugurali con le Autorità a bordo). Si vorrà capire che bisogna mandare a casa innanzitutto i dirigenti di certi apparati! Niente, tutti a discutere sulle abitudini sessuali del premier, su Fini o Di Pietro come suoi più pericolosi avversari, e altre c…..te del genere. Nel mentre va detto a questo punto con estrema chiarezza che la continua sostituzione della sedicente “giustizia” (con il suo moralismo d’accatto) alla politica è apertamente sovversiva e rappresenta un pericolo di dissoluzione del tessuto sociale e civile del paese.
Anche qui, d’altra parte, si sconta un terribile errore di prospettiva (da alcuni compiuto in perfetta mala fede), poiché si guarda solo allo scadente proscenio (i disgustosi politicanti di ogni schieramento e…risma) nel mentre restano in ombra i mandanti. Siamo oggi un non irrilevante campo di battaglia tra forze internazionali, quelle in robusta azione nell’avanzante fase multipolare. Solo se si tiene conto di questo fatto, e di quali siano innanzitutto le quinte colonne interne (poiché i politicanti di cui sopra sono solo burattini, perfino “mal fabbricati”), si potrà cominciare a delucidare il degrado italiano e l’incapacità di ogni Governo di semplicemente amministrare l’esistente; un’incapacità che deriva dalla paralisi provocata da spinte e controspinte, cui soggiacciono le “classi non dirigenti” (e terribilmente inette e proterve) italiane. Il campo di battaglia italiano ha comunque sue specifiche caratteristiche. Qui sta la difficoltà: individuare le prevalenti forze esterne, nel loro intreccio conflittuale (e devastatore), cercando di ben comprendere le modalità secondo cui gli effetti delle loro “perverse” azioni si manifestino nel concreto contesto nazionale odierno. Staremo attenti.