Il corto circuito dell'interesse per la politica tra le ultime generazioni è un riflesso, secondo me, della crisi politica progressiva delle generazioni che le hanno precedute, una crisi di senso, di quale orientamento/direzione imprimere all'impegno politico. Una crisi di riferimenti e di orientamenti. Il che, detto per inciso, estende il problema al di là dei tornanti anagrafici generazionali e lo pone in termini seriamente attuali. Per i giovani questa crisi è visibile nelle scuole, dove generalmente risulta frammentaria e di basso profilo -se c'è- la presenza "politica" dei gruppi giovanili di qualunque tendenza possibile, o negli stessi centri di aggregazione che dovrebbero essere luoghi di significativa qualificazione politica, come i centri sociali (senza voler generalizzare ed anzi riconoscendo per alcuni di questi, pur nella loro parzialità territoriale, il tentativo di mantenere capacità di iniziativa e trasmissibilità della coscienza politica), dove è indubbiamente forte una tendenza ad una depoliticizzazione di fatto, quasi che abbia più importanza rincorrere e soddisfare -a prezzi competitivi- gusti e aspettative della clientela di riferimento, soprattutto giovanile, che popola queste aree del consumo (alcolico e non) e musicali. Certo, bisognerebbe avere una radiografia politico-sociale geograficamente estesa dello stato dei centri sociali, e non so se sia condizionato dal mio osservatorio molto parziale di alcuni di quei luoghi e da quel che sento, ma ho la sensazione che bisogni anche legittimi e naturali, come la ricerca di socializzazione, da tempo si connotino sostanzialmente in termini consumistici e in generale non in discontinuità con i parametri del sistema che si vorrebbe mettere in discussione. Avverto insomma forte la percezione che l'alterità si riduca per lo più ad una questione di estetica (d'abbigliamento, di atteggiamenti e poco più). Certo, se si volessero analizzare forme e significato dell'espressività giovanile dovremmo parlare anche d'altro, ad esempio dell'aggregazione ultras di natura prevalentemente calcistica, con adozioni di simboli e mitologie percepite come esteticamente trasgressive e "ribelli", ma il discorso ci porterebbe lontano e finirebbe con l'essere solo sociologico, per quanto interessante. Esprimo, a conclusione di questo passaggio, una telegrafica convinzione, e cioè che un riorientamento giovanile di comportamenti se non lo vedo fattibile in termini generali, perdurando così le cose, a partire dal suo interno, resta sempre possibile ed anche rapidamente se trova impulso e sponde in una ricostituzione di riferimenti politici e di valore significativi a più ampio raggio.
Volendo semplificare al massimo, Philus, individuerei le cause principali della diffusa disaffezione giovanile verso la politica nelle due lame di una forbice che stanno recidendo i legami con quanto di più vitale e attuale c'è nelle coscienze, nelle memorie, nelle esperienze delle culture di lotta passate e presenti. Una corrisponde al modello sociale capitalistico con la sua indubbia forza pervasiva e suggestiva fascinazione consumistica, l'altra -ben più tagliente e grave- al disorientamento, allo spaesamento di prospettiva dei diversi organismi del variegato radicalismo critico a detto modello. Invito a considerare che la crisi di aggregazione e di mobilitazione, prima ancora che organizzativa, di questi ultimi è figlia dell'impasse di senso, della crisi di prospettiva politica e di essenziale consapevolezza delle dinamiche generali di sistema e delle stesse relazioni sociali e internazionali, e di conseguenza del come intervenire su che cosa. Tutto questo si collega all'ultima delle tue domande, su "come si possono avvicinare i giovani (ma anche i meno giovani) ad una teoria nazionalitaria che al giorno d'oggi non può che essere emancipatoria ed antimperialista". Detto che una teoria nazionalitaria, dal nostro punto di vista, per essere tale, deve connotarsi sempre in termini emancipatori ed antimperialisti sul terreno sociale e politico, è evidente che, allo stato, anche questa prospettiva possibile e necessaria non è immune dagli effetti delle considerazioni di cui sopra. Sul come avvicinare i giovani, che è la questione che poni, la risposta che vedo sta nella capacità che la progettualità nazionalitaria riesca ad andare al di là della fondatezza di argomenti e di analisi che può allo stato connotarla. Che riesca cioè a farsi realtà organizzata capace di muoversi con continuità sui territori per arrivare al territorio nazionale. La possibilità di attivare lotte o comunque politiche nazionalitarie nelle scuole potrebbe concretarsi nel quadro di questo percorso. Altrimenti si tratterebbe di una versione in più, nuova, del velleitarismo giovanilistico destinato a spegnersi per i più con l'insorgere delle preoccupazioni occupazionali legate (per lo più) ad un bisogno di integrazione nella società dei (differenziati) consumi. Così la vedo. A presto